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Questo articolo è stato pubblicato il 18 agosto 2013 alle ore 09:00.
L'ultima modifica è del 22 agosto 2013 alle ore 07:49.

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Che fare per uscire dalla crisi? Le colonne del Sole 24 Ore hanno ospitato un articolo di Roberto Perotti dal titolo «Se l'austerità non ha alternative» (15 giugno 2013) che consente di far avanzare il dibattito sulle politiche economiche europee.
Il primo elemento degno di nota è la radicale autocritica di Perotti. L'evidenza empirica sulle cosiddette "politiche di austerità espansive", che egli contribuì a creare negli anni Novanta con Alesina, Giavazzi e altri, era inficiata dalla mancata considerazione di elementi (svalutazioni, politiche monetarie espansive), che contribuirono ben più dei tagli di bilancio al successo dei piani di consolidamento di Paesi come Irlanda o Danimarca. Credo che sia importante e meritorio, in una professione in cui l'ideologia spesso prevale sul rigore scientifico, che esistano economisti capaci di riconoscere i propri errori passati. Perotti riconosce che l'austerità è dannosa e sarebbe bene che gli ultimi partigiani della "fatina della fiducia", per usare un'espressione di Paul Krugman, ne prendessero atto; di austerità espansiva si parla solo a Bruxelles e a Berlino.
Dopo il meritorio mea culpa Perotti conclude, citando anche il controverso rapporto del Fondo Monetario sugli errori della Troika, che la Grecia avrebbe potuto fare ben poco di diverso da quello che ha fatto. L'austerità fa sì male, sostiene Perotti, ma rimane l'unica strada percorribile per le economie periferiche dell'Eurozona. Questa conclusione è interessante perché rivela un errore di prospettiva oggi purtroppo molto comune tra economisti e policy makers europei. Perotti sembra non considerare che la crisi attuale non è una crisi greca, ma europea, e la domanda da farsi non è cosa debba fare la Grecia per uscirne, ma cosa dovrebbe fare l'Eurozona.
Se si abbandona la prospettiva nazionale per ragionare a livello europeo, emergono una serie di alternative alle politiche seguite fin qui con risultati, occorre ricordarlo, francamente disastrosi. La zona euro ha debito e deficit pubblici inferiori a Usa e Regno Unito, ed è in recessione principalmente a causa di una domanda privata che rimane anemica. Il vero problema in Europa non è il debito pubblico; è la coesistenza di economie caratterizzate da eccesso di spesa, e di economie caratterizzate da eccesso di risparmi, sia pubblici che privati. In questo contesto, in una prospettiva continentale, la soluzione è ovvia: avendo la politica monetaria sostanzialmente esaurito le opzioni a sua disposizione, il compito di sostenere la domanda aggregata deve essere svolto da una politica fiscale espansiva per la zona nel suo complesso. Finora questo non è avvenuto e, contrariamente alle altre grandi economie, la zona euro ha dal 2010 condotto politiche fiscali procicliche, vale a dire restrittive in tempo di crisi. È chiaro che i margini di manovra per le economie della periferia sono limitati; ma l'eccesso di risparmio delle economie del centro dovrebbe essere utilizzato per sostenere la domanda aggregata a livello europeo. In altre parole, occorre un aggiustamento simmetrico, in cui la riduzione degli eccessi di spesa della periferia (che è già in corso fin dal 2010) si accompagni alla riduzione degli eccessi di segno opposto del centro, che invece non ha sostanzialmente cambiato strategia.
Una politica marcatamente keynesiana a livello europeo non solo sosterrebbe la crescita, ma aumenterebbe le probabilità di successo per le riforme dei Paesi del Sud. Riforme e consolidamento fiscale sono meno dolorose e hanno più speranza di successo in un contesto globale di forte crescita. Lo sanno bene proprio i tedeschi, che nel 2003-2005 hanno potuto contare sulla domanda proveniente tra l'altro dai Paesi oggi in crisi per assorbire parte dei costi di breve periodo delle riforme Hartz. Il lungo periodo non è altro che una sequenza di brevi periodi, che non possono essere considerati separatamente.
Occorre in sintesi abbandonare l'idea che la zona euro sia composta di santi e di peccatori, e riconoscere che la crisi attuale è frutto di squilibri strutturali e di un'unione monetaria incompiuta. Se questo avvenisse, se si smettesse di chiedersi cosa può fare la Grecia ma ci si chiedesse cosa può fare l'Europa, allora sì, esisterebbero delle politiche alternative all'austerità.
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