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Questo articolo è stato pubblicato il 27 agosto 2013 alle ore 06:39.

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Il bipolarismo del diritto non giova alla democrazia



Gentile Fabi, perché in Italia ogni legge non è scritta in maniera inequivocabile? Nella legge Severino, approvata recentemente, sarebbe bastato specificare che l'ineleggibilità si applica sia al momento della candidatura sia, in caso di condanna successiva all'elezione del reo, fatte salve le prerogative costituzionali, ne prevedesse la decadenza. Ritengo, da semplice cittadino e non da giurista che la pretesa inapplicabilità pregressa sia una mera forzatura perché mi è difficile capire come una condanna avvenuta prima di un'elezione impedisca la candidabilità mentre un'altra che avvenga dopo non debba comportare le medesime conseguenze. Ma ciò che non scrive una legge procura queste ambiguità. E nasce in me la convinzione, che, non potendo considerare i legislatori "sciocchi", essi si lascino sempre una porticina di emergenza aperta...
Stefano Callegari
Roma
Gentile lettore, mi scuso se ho tolto dalla sua lettera le considerazioni politiche sul caso Berlusconi (un tema su cui «Il Sole 24 Ore» dedica ampi spazi di cronaca e commenti) per soffermarmi sull'interessante spunto giuridico nella sua conclusione. A questo proposito si potrebbe citare una delle più lapidarie frasi di Giovanni Giolitti da ministro dell'Interno nel 1901 mettendo in guardia sull'esigenza di far rispettare le leggi in un momento in cui i problemi maggiori erano l'ordine pubblico e la governabilità del Paese: «Le leggi si applicano per i nemici e si interpretano per gli amici».
La scorsa settimana, curando la rassegna stampa del mattino per Radio 24, ho sottolineato come nello stesso giorno, su due giornali, vi fossero due articoli di fondo firmati da due ex presidenti della Corte costituzionale con due tesi completamente opposte. Sulla prima pagine della «Stampa», Ugo De Siervo sottolineava che nel caso del voto al Senato sulla incandidabilità di Berlusconi un eventuale ricorso alla Consulta sarebbe solo «un tentativo di guadagnare tempo», peraltro inutile visto che «un Parlamento che fosse davvero convinto dell'inopportunità della legge potrebbe sempre modificarla».
Sulla prima pagina del «Messaggero» invece, un editoriale di Piero Alberto Capotosti sollevava dubbi sulla costituzionalità della norma affermando che «varrebbe la pena che sull'applicazione di questa complessa disciplina non si pronunciasse soltanto un organo politico, ma intervenisse la Corte Costituzionale».
Due interpretazioni che hanno sicuramente entrambe solide basi giuridiche, ma che dimostrano in fondo come una legge perfetta non esista. Né possa esistere. È possibile che il legislatore sia in molti casi volutamente ambiguo, anche perché le leggi nascono sempre dopo progressivi aggiustamenti, integrazione e compromessi. La forza di un ordinamento giuridico sta tuttavia anche e soprattutto nell'autorevolezza di chi ha il compito di metterlo in pratica: ma se è giusto che ci sia una soggettività nell'interpretazione è un brutto segnale quando nel giudizio dominano l'ideologia e lo schieramento. Un bipolarismo del diritto non è un passo in avanti per la democrazia.
g.fabi@ilsole24ore.com
Monte Po non esiste
Monte Po è un quartiere dimenticato di Catania. L'altro giorno un ragazzo di
25 anni è stato ferito in una sparatoria. Due anni fa era stato denunciato da Mani Tese, che lì opera ogni giorno per tenere i ragazzi lontani dalle strade, il degrado di
un campetto comunale, uno dei pochi
luoghi di aggregazione. I ragazzi l'hanno ristrutturato da soli. Ma Monte Po non esiste. E il Parco Monte Po che dovrebbe essere un parco cittadino non compare
in nessuna cartina.
Mirko Viola
Masaccio, addio!
Insegno Storia dell'arte. Ai miei alunni ricordo sempre di essere innanzitutto
un educatore. Prospetto l'arte passata sottolineando gli agganci col presente e gli spunti edificanti. Un esempio? A Firenze, nella chiesa del Carmine, c'è la Cappella Brancacci, dedicata a Felice, imprenditore prestato alla politica. Felice Brancacci,
in pieno Umanesimo, si autocelebra identificandosi in san Pietro. Il ciclo figurativo, dipinto da Masaccio, è ispirato agli Atti degli apostoli e alla attualità politica dell'epoca. Tra i tanti episodi,
uno, il Tributo della moneta, vede Cristo col suo seguito avvicinato da un gabelliere che richiede la tassa necessaria per poter accedere alla città. Alla richiesta, Cristo risponde con l'intimazione a san Pietro perché corrisponda, con un miracolo, il dovuto all'esattore. L'episodio si conclude assecondando il passo evangelico: è
il monito laico per l'obbedienza di tutti
ai doveri civili: «date a Cesare ciò che è di Cesare e date a Dio ciò che è di Dio». L'opera, da sempre, mi fornisce il pretesto per spiegare ai ragazzi che il pagamento delle tasse è un dovere civile al quale nessuno può sottrarsi, anche se questo – ironicamente – esige un "miracolo". Ora che un senatore-imprenditore, ex premier, condannato in via definitiva per frode fiscale, pretende di governare ancora con un provvedimento, dovrò eliminare Masaccio dal programma del prossimo anno scolastico.
Gianfranco Pignatelli

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