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Questo articolo è stato pubblicato il 05 settembre 2013 alle ore 07:46.

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Povero prodotto interno lordo (Pil): così presente nella nostra vita eppure sovente maltrattato. Non occorre essere lettori di giornali specializzati per imbattersi molte volte al giorno nel pil. Il suo andamento, controllato mensilmente e oggetto di previsioni, tiene sulla corda i governi, indica ai cittadini le prospettive di reddito e occupazione, domina l'andamento dei mercati. Forse per questi motivi è più odiato che amato, oggetto delle critiche più disparate, riaccese con la pubblicazione, a fine di luglio, da parte del Bureau of Economic Analysis, di una rivalutazione del pil statunitense di circa il 3 per cento. Furono la Grande crisi e la guerra, con il crescente ruolo del governo nell'economia, a far emergere la necessità di conoscere quanto e in quali settori il paese producesse e quanto del reddito generato andasse a consumi, investimenti, esportazioni. Il pioniere di questi studi fu Simon Kuznets (1901-1985), economista bielorusso emigrato negli Usa, Nobel nel '71.

Le critiche mosse alle misure e al concetto di Pil sono di due tipi. Quelle di carattere tecnico sono numerose. Sarebbe lungo e noioso riassumerle. Basta dire, come esempio, che la revisione da parte del Bureau of Economic Analysis riconosce per la prima volta quali investimenti fissi le spese per ricerca e sviluppo e quelle per la creazione di beni di intrattenimento, letterari e artistici, in risposta ai rilievi formulati da più parti circa la sottovalutazione dei cosiddetti beni intangibili. Le questioni tecniche diventano più complesse quando si tratta di confrontare tra loro i pil di diversi paesi o di un singolo paese nel tempo. Uno dei problemi più complessi deriva dalla diversità dei prezzi relativi: un chilo di pane non si scambia ovunque e in ogni tempo con la medesima quantità di cotone. Siccome l'unico modo di sommare pane e cotone è quello di ridurli a un comune valore monetario tramite i prezzi di ciascuno, la scelta di quali prezzi relativi adottare nei confronti influisce sul confronto stesso. Gli studiosi, gli istituti di statistica, le organizzazioni internazionali lavorano di continuo ad affinare le tecniche atte a misurare il pil. Il loro lavoro è la risposta corretta alle critiche di questo primo tipo.

Un secondo tipo di critiche è di carattere radicale: il pil non misura il benessere di una collettività (né, tantomeno la felicità). Si tratta di colpa della quale il povero Pil è innocente. Fu lo stesso Kuznets, nel 1934, a ribellarsi all'idea che Pil e benessere coincidessero. La cultura diffusa che tende a confondere le due cose va combattuta facendo chiarezza su che cosa sia il pil, né più né meno che la misura dei beni e servizi prodotti da un paese, senza buttare a mare questo utilissimo strumento. Sarebbe utile possedere una misura condivisa del benessere di un paese. Aiuterebbe nella formulazione delle politiche sociali, come le misure della produzione aiutano a orientare la politica economica. I tentativi fatti sin qui, anche da grandi economisti come il Nobel Amartya Sen, sono intriganti ma lontani dal risolvere i problemi logici (filosofici), empirici e socio-politici che nel prevedibile futuro impediranno di trovare una misura sintetica condivisa del benessere delle collettività (per non dire di una misura aggregata della felicità: gli economisti che la cercano si trastullano con cose che hanno sconfitto le menti di grandi filosofi).

Per ora ci resta il Pil che, pur non coincidendo con il benessere, ne è parte. Sia perché le condizioni materiali di vita contribuiscono a generare il grado complessivo di benessere sia perché altri aspetti presumibilmente importanti del benessere stesso (per esempio la salute, la speranza di vita, l'istruzione, la sicurezza) sono più o meno correlati al livello di reddito di un paese. Nell'attesa di solide e condivise misure del benessere, se mai si troveranno, la stima della quantità dei beni e dei servizi prodotti, unita a quella della loro distribuzione tra i membri della collettività, può contribuire alla definizione di politiche che migliorino le condizioni di vita di un paese.
(gt14@duke.edu)

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