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Questo articolo è stato pubblicato il 08 settembre 2013 alle ore 08:50.

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Se il peggio è passato, il meglio è ancora di là da venire

Stiamo vivendo uno strano scampolo d'estate, caratterizzato da un diffuso compiacimento sullo stato delle economie europee, che traspare anche dal comunicato finale del G-20 di San Pietroburgo. Il messaggio, ripetuto a tambur battente, è che il peggio è passato. Molti indicatori sembrano confortare quest'ottimismo. La recessione nell'eurozona è tecnicamente finita, la fiducia di consumatori e imprese riprende, e tutte le istitutzioni (ultimo in ordine di tempo l'Ocse) rivedono le proprie previsioni di crescita al rialzo. Ma proprio una lettura più attenta dei dati sembra suggerire maggiore cautela. Ci sono almeno tre ombre che si allungano sugli sviluppi futuri dell'eurozona.

La prima, di ordine congiunturale, è che, come si legge anche tra le linee del comunicato G-20, l'economia globale non si è ancora incamminata su di una traiettoria chiaramente espansiva. Le economie emergenti rallentano vistosamente, appesantite da problemi strutturali e dalla fuga di capitali timorosi che la Fed americana metta fine al quantitative easing. Anche l'austerità europea, paradossalmente, ha contribuito a mettere in difficoltà le economie emergenti, privandole di un importante mercato di sbocco. Gli Stati Uniti, nonostante un discreto tasso di crescita del Pil, non riescono a mettersi la crisi alle spalle. I dati diffusi venerdì dal governo americano mostrano che la riduzione del tasso di disoccupazione non è dovuta alla creazione in numero sufficiente di posti di lavoro, ma all'abbandono della forza lavoro da parte di disoccupati scoraggiati.

In questo contesto, la salute dell'economia globale potrebbe rapidamente deteriorarsi, privando la zona euro dello sbocco alle esportazioni necessario in una situazione di domanda interna ancora anemica.

La seconda ipoteca che grava sulla neonata ripresa europea è di ordine più strutturale. Anche considerando le ultime e più ottimistiche previsioni dell'Ocse per la zona euro (un più 0,4% di Pil nel 2013), il livello di attività a fine anno rimarrà di oltre due punti percentuali inferiore ai picchi pre-crisi. Il livello del 2008 sarà raggiunto soltanto nel 2015 (se non dopo). Per le economie periferiche la data è spostata ancora più in là, e si può ormai parlare, per Grecia e Portogallo, ma anche per Spagna e Italia, di un decennio perduto. Per quasi tutta l'eurozona si ragiona insomma su tassi di crescita bassissimi, non sufficienti a garantire una ripresa dell'occupazione e quindi di consumi e investimenti interni. A questo si aggiunga che la terza economia dell'eurozona, l'Italia, è ancora invischiata in una pesantissima recessione, che si protrarrà con ogni probabilità nel 2014, condita da una instabilità politica crescente. È chiaro che un precipitare della situazione in Italia avrebbe sull'eurozona effetti ben più gravi di quelli che ebbe nel 2009 la crisi greca.

Infine, un'ultima fonte di inquietudine, la più strutturale e la più seria. La zona euro non è oggi più coesa né più omogenea di quanto non fosse nel 2009, all'inizio della crisi. I dati sulla competitività diffusi dal World Economic Forum mostrano una netta divergenza tra centro e periferia, esacerbata dalla crisi. La recessione ha ulteriormente intaccato la capacità di attrazione delle economie periferiche, già di molto inferiore a quella della Germania. La distruzione di capitale umano e il taglio agli investimenti in infrastrutture e nuove tecnologie hanno ridotto, non aumentato, la capacità di queste economie di stare sui mercati globali. Anche il processo di riforma istituzionale non ha finora partorito delle istituzioni per la governance europea adatte alle sfide che attendono l'eurozona. In queste condizioni la ripresa, se ci sarà, rimarrà debole e fragile, caratterizzata dagli stessi squilibri che hanno precipitato l'eurozona nel baratro nel 2009.

Lo sfoggio di ottimismo di leader e policy makers è politicamente comprensibile. Ma è difficile giustificarlo se si guarda alla situazione dell'economia mondiale ed europea.

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