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Questo articolo è stato pubblicato il 12 settembre 2013 alle ore 07:49.

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La "drole de guerre", la strana guerra, segnò il periodo fra il maggio del 1939 e il primo trimestre del '40: circa nove mesi in cui il conflitto fra la Germania e le potenze europee, benchè dichiarato, non fu combattuto se non attraverso scaramucce di frontiera e iniziative dimostrative. La strana guerra è tornata di moda in questo autunno del 2013 con gli scontri a bassa intensità fra Berlusconi e il centrosinistra intorno all'estenuante questione della decadenza parlamentare.

Anche stavolta il conflitto dovrebbe essere distruttivo, stando alle dichiarazioni e alle minacce reciproche. In realtà si trascina nella Giunta del Senato fra un rinvio e un cavillo. Con ogni evidenza, Berlusconi non sa quale strada imboccare. Sul piano delle parole, le ha usate tutte. Ha annunciato una dozzina di volte, attraverso i suoi stretti collaboratori, la caduta del governo. E se davvero avesse voluto, avrebbe già avuto ogni tipo di pretesto per dar seguito alla promessa.
È vero che la Giunta non si è ancora pronunciata sulla relazione di Augello e quindi formalmente la maggioranza delle larghe intese non è andata in frantumi. Ma è un po' nascondersi dietro un dito. Tutti sanno che i punti di vista sull'espulsione da Palazzo Madama dell'ex premier condannato sono rigidi e non muteranno nei prossimi giorni, quali che siano i giochi procedurali. Tuttavia Berlusconi è cauto: assai più di quanto vorrebbe la leggenda dell'Ultimo Crociato pronto per la battaglia. Una guerra bizzarra, appunto. In cui chi minaccia di pigiare il bottone del conflitto atomico, al dunque esita perché sa che verrebbe travolto insieme agli altri. Berlusconi pensa a sé, alla sua parte politica, alle sue aziende, al futuro di Mediaset. Non c'è margine per il dilettantismo, a meno di non aver deciso di auto-dissolversi. E senza dubbio Berlusconi non è un dilettante.

Più complessa la posizione del Pd, spinto e incalzato dall'arcipelago "grillino" e fermo sulla linea che si riassume nella frase "la legge va applicata". Ma dietro lo schermo dell'ufficialità qualche preoccupazione affiora, e non da oggi. Ad esempio, una vera alternativa all'attuale maggioranza non c'è. Le indiscrezioni sui venti senatori circa, fra Cinque Stelle e Pdl, pronti a puntellare il fatidico Letta bis fanno parte più che altro della guerra psicologica: un tentativo di tagliare le unghie ai berlusconiani più bellicosi. Ma è chiaro che un governo affidato al voto decisivo di qualche transfuga grillino o di esponenti del centrodestra in cerca di poltrone, darebbe ben scarso affidamento. Questo spiega perchè nelle ultime ore il Pd si è mostrato un po' più pragmatico. Del resto, sappiamo che l'intera vicenda è seguita con molta attenzione dal Quirinale.
Vedremo nei prossimi giorni. Logico che il Pd non possa accettare ulteriori rinvii: la prossima settimana si voterà e poi del caso si occuperà l'aula parlamentare. Sulla carta dopo il voto della Giunta, in cui sarà sconfitto, Berlusconi dovrebbe dar fuoco alle polveri. Eppure l'ipotesi sembra meno credibile ogni giorno che passa. L'uomo vorrebbe trattare, cercando qualche garanzia per il prossimo futuro. Il primo problema è che nessuno gli può offrire una tale garanzia. Il secondo è che la caduta del governo non servirebbe ad avvicinare alcuna soluzione. Napolitano chiede coesione e non intende tornare alle elezioni con il meccanismo del "porcellum". Di conseguenza, ecco la strana guerra. Né crisi, né non crisi. Finché dura.

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