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Questo articolo è stato pubblicato il 13 settembre 2013 alle ore 06:45.

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Cosa non dovrà essere l'Unione bancaria, che ieri l'Europarlamento ha affidato alla Bce? Anzitutto non dovrà essere un mercato integrato nella competizione e nella vigilanza, in cui tuttavia «se le banche italiane usassero gli stessi criteri di valutazione utilizzati altrove, il loro stock di crediti in sofferenza si ridurrebbe di circa un terzo» (e il credit crunch di conseguenza): la constatazione è vecchia di appena tre giorni ed è firmata da Ignazio Visco, governatore della Banca d'Italia e membro del consiglio Bce.

E l'Eurotower promossa a regulator bancario non dovrà ripetere gli «errori clamorosi» dell'Eba nel calcolare a fine 2011 i ratio patrimoniali di 115 banche europee: lo ha denunciato su queste colonne Donato Masciandaro, direttore del Centro studi bocconiano intitolato a Paolo Baffi, uno dei maestri di Mario Draghi. La severità con il caso Montepaschi è corretta e necessaria, ma deve valere per tutti: per le Casse spagnole e quelle tedesche, fino ai colossi olandesi o britannici ancora semi-nazionalizzati cinque anni dopo il crack Lehman.

Ancora, nell'Unione bancaria non potrà più accadere che in un paese-membro (l'Italia) le perdite su crediti si ammortizzino fiscalmente nell'arco di 18, mentre in altri gli standard contabili internazionali sono il riferimento armonizzato per tutti i bilanci di una banca: è tornato a sollecitarlo ieri il presidente dell'Abi, Antonio Patuelli. Non da ultimo, nell'Unione bancaria difficilmente potrà essere eluso un confronto serio fra le strutture proprietarie e di bilancio delle banche centrali "sorelle" nel sistema-Bce: non si potrà relegare ai circuiti universitari il «piano Bankoro» illustrato sul Sole 24 Ore da Fulvio Coltorti e Alberto Quadrio Curzio. (a.q.) .

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