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Questo articolo è stato pubblicato il 25 settembre 2013 alle ore 08:24.
L'ultima modifica è del 25 settembre 2013 alle ore 08:52.

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Quale Paese era così povero negli anni 60 da prestare il proprio nome alle periferie più degradate delle città del Nord Italia e da usare l'adozione degli orfani negli anni 80 per guadagnare valuta estera? Lo stesso che nel 2013 è all'avanguardia nella robotica, nell'elettronica e nell'automotive, una mecca della creatività transnazionale, un protagonista sempre più attivo della governance internazionale.

Quello coreano è spesso descritto come un miracolo. Ma forse non è stato un miracolo, quanto il frutto di scelte ponderate e di strategie azzeccate per realizzarle. Priva di risorse naturali, con un tessuto industriale fragile e un mercato interiore modesto, negli anni 70 la Corea scelse la crescita trainata dall'export e assegnò ai conglomerati la missione di ridurre il gap (di scala, tecnologia, marchio) con la frontiera dell'economia mondiale. All'inizio i chaebols copiarono i keiretsu giapponesi e molti dei loro prodotti, fino a quando il governo decise che era il momento di passare alla velocità superiore. Due cifre: nel 2005-10, la spesa totale in ricerca e sviluppo è cresciuta del 10% all'anno (in Italia del 2,7%) e due società coreane sono comprese tra le 11 che compongono l'esclusivo mondo del red dot design index.

La Corea è anche il Paese di un modello controverso di capitalismo: il contrappeso del successo dei conglomerati è lo stritolamento delle piccole e medie imprese; quello dell'ordine gerarchico è la difficoltà nel far emergere le individualità. Ma con lo sviluppo è venuta anche una rapida democratizzazione, una società civile che rivendica onestà e trasparenza, l'alternanza politica senza rimettere costantemente in gioco i fondamentali.

Tra cui l'importanza dell'istruzione: il secondo giovedì di novembre il Paese si arresta per il suneung, l'esame che determina l'accesso alle università. Le famiglie non lesinano gli sforzi per investire nel capitale umano dei propri figli (fino a ritrovarsi spesso con un indebitamento insostenibile), gli insegnanti sono tra i meglio pagati al mondo, gli adolescenti dominano le classifiche internazionali. Invece che spargere lacrime sul latte versato della fuga dei cervelli, università e centri di ricerca hanno ricevuto le risorse per farli tornare: il 43% dei dottorandi coreani negli Usa rimpatria, rispetto al 17% degli europei e al 4% dei cinesi.

La Corea produce sempre più conoscenza scientifica, le sue università scalano le classifiche internazionali, la scena artistica e culturale è una delle più vibranti in Asia. Far fiorire un ecosistema per la New Economy non è stato facile, ma ora le autorità stanno destinando risorse importanti per accelerare lo sviluppo dell'industria della cultura e consolidare il successo della K-pop (di cui l'ormai celebre Psy non è che una delle star). Tra le start ups innovative di Seoul brilla la messaggeria istantanea di Kakao.

Si rischia spesso di sottovalutare ciò che accade in Asia, o tutt'al più di concentrarsi sugli aspetti caricaturali - l'etica del confucianesimo, la ginnastica mattutina nei parcheggi di fabbriche gigantesche - oppure di dare più attenzione alle indubbie criticità - per citarne una, un angst che si riflette in un alto tasso di suicidi. La morale è invece ben più semplice. Al posto che cercare l'Eden del modello perfetto, meglio ricordarsi dell'insegnamento di Fernand Braudel: la differenza, nella crescita del capitalismo, la fa la qualità dell'alleanza tra sfera politica e sfera economica. Difficile misurarla, in Corea come altrove, ma un aneddoto fa riflettere: nei dibattiti televisivi che hanno preceduto le elezioni presidenziali dello scorso dicembre, i due principali candidati hanno discusso con cognizione di causa non solo i risultati dell'inchiesta Pisa (Programma per la valutazione internazionale dell'allievo), ma anche pregi e benefici di diverse proposte per riformare le politiche per l'innovazione e di articolazioni alternative della relazione tra ministero dell'Istruzione e Agenzia per l'innovazione. Un'attenzione ai dettagli istituzionali che fa onore alla classe dirigente coreana.

Il brano è tratto dal libro Il miracolo coreano (il Mulino, 2013, 219 pagine, 16 euro, in libreria da domani) di Andrea Goldstein che sarà presentato oggi all'Istituto Italiano di Cultura di Seoul

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