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Questo articolo è stato pubblicato il 25 settembre 2013 alle ore 08:11.
L'ultima modifica è del 25 settembre 2013 alle ore 08:58.

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Oggi a Roma, alla Sala Zuccari del Senato, via della Dogana Vecchia 29, si tiene un convegno organizzato dalla Fondazione Craxi intitolato «Il governo Craxi». I lavori iniziano alle 10 e con molti studiosi ed esponenti politici ci sarà il presidente della Repubblica.

In occasione del decennale della morte del leader socialista Bettino Craxi, nel gennaio 2010, il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in una lettera alla famiglia, aveva spiegato che «non può venir sacrificata al solo discorso sulle responsabilità dell'onorevole Craxi sanzionate per via giudiziaria la considerazione complessiva della sua figura di leader politico, e di uomo di governo impegnato nella guida dell'Esecutivo e nella rappresentanza dell'Italia».

Il convegno di oggi a Roma cerca di comporre a sintesi i giudizi degli storici su una fase particolare della Repubblica, quella di un governo longevo (dal 1983 al 1987, anche se dall'agosto dell'86 si trattò di un Craxi II), stabile e dal piglio decisionista. Non c'è bisogno però di scomodare gli storici per dire che anche il più ferreo rivale del craxismo è in grado di ammettere che molte delle caratteristiche che oggi auspichiamo per un esecutivo hanno segnato la stagione del leader socialista. La parola «modernizzazione» è spesso associata a Craxi, anche magari per dire che fu una promessa non del tutto rispettata.

Il sogno di una «Grande riforma» con Craxi fa irruzione sulla scena politica e da sempre resta sullo sfondo, chimera elettorale a volte, tentativo abbozzato mai compiuto e quando compiuto non in grado di trovare leader capaci di ottenere il sì degli italiani, anche quando il sì non è scontato (ricordate il referendum sulla scala mobile?). Se parole di riforma sono legate a Craxi è anche perché quello fu un periodo di crescita economica e di ottimismo dello sviluppo: riforme e crescita sono concetti gemelli, causa ed effetto intrecciati. Questo fu il periodo del governo Craxi, mille giorni con il decreto di San Valentino, il Concordato, Sigonella. Più fatti che rinvii offerti al giudizio degli storici.

C'erano i partiti, il parlamentarismo, eppure quel governo pareva al passo con le eurodemocrazie governanti. Tanto che ci sono i dati a dire che prima l'inflazione era al 17,7 per cento, dopo al 4,6, anche grazie alla politica non più espansiva di Bankitalia; che il deficit/Pil calò dal 16,7 al 16,6; che la crescita media del Pil si aggirava attorno al 4% annuo; la produttività aumentò di 17 punti percentuali, mentre il debito cominciava a soffrire soprattutto del male attuale: la spesa per interessi. «Il calo dell'inflazione ha restituito certezze alle aziende», disse il Governatore Carlo Azeglio Ciampi. «Nel 1984, il margine operativo lordo è salito al 38% del valore aggiunto. Nel periodo 1983/1986, le grandi imprese industriali private e pubbliche hanno accresciuto la produttività del 9% l'anno, la riduzione dell'impiego di lavoro è stato del 7% l'anno».

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