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Questo articolo è stato pubblicato il 28 settembre 2013 alle ore 08:00.

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Luigi Spaventa (Imagoeconomica)Luigi Spaventa (Imagoeconomica)

L'accademia e le istituzioni rendono oggi omaggio a Luigi Spaventa, che ci ha lasciato il 6 gennaio, in un convegno alla Bocconi, alla presenza del capo dello Stato. Contemporaneamente, viene presentato un libro, a cura di Carlo Pinardi, che raccoglie le relazioni del convegno e altre testimonianze e documenti, nel tentativo riuscito di mettere in luce la profondità e l'originalità del suo pensiero, i suoi molteplici interessi, la singolarità del carattere solo apparentemente spigoloso. La vivacità intellettuale che contraddistingueva Spaventa lo ha portato ad assumere molteplici ruoli oltre a quello universitario: editorialista, parlamentare, banchiere, uomo di governo, regolatore. Il convegno e il libro, ricco di 21 capitoli, sono una testimonianza del suo impegno in questi campi.

«C'è un paper che dimostra...», era una sua frase ricorrente quando si discuteva con lui e invariabilmente si trattava di un contributo recente, spesso complesso dal punto di vista formale, ma ricco di implicazioni di policyche portava la bilancia della discussione in suo favore. Grazie alla straordinaria capacità di aggiornamento scientifico (e di spirito critico) egli ha saputo denunciare gli squilibri insostenibili che si andavano accumulando nel sistema finanziario, mentre i regolatori, le banche centrali e i politici continuavano a fidarsi ciecamente di una teoria dominante che partiva dal presupposto che i mercati sono spontaneamente efficienti e che dunque riteneva utile ogni forma di innovazione finanziaria. Corollario di questa posizione era che il sistema di regolazione americano veniva giudicato il migliore possibile.

In un editoriale nei giorni del fallimento di Lehman, Spaventa definiva gli economisti italiani caduti in questa trappola «gli epigoni di Nando Moriconi» (dal nome del protagonista di Un americano a Roma: un modo che dimostra quanto egli sapesse essere caustico nei confronti di chi riteneva ispirato più dalle mode e dal pregiudizio ideologico che dal ragionamento analitico.

Ma non c'era bisogno della crisi finanziaria per convincere Luigi delle debolezze della teoria finanziaria dominante. Nel convegno della Società degli Economisti del 2005, svolse una documentata relazione sulla protezione dell'investitore, dimostrando lo scollamento fra i risultati di una letteratura in tumultuosa crescita, da un lato, e la legislazione e la pratica della supervisione dei mercati, dall'altro. E i contributi teorici erano stati uno dei pilastri su cui si reggeva la presunta maggior efficienza dei mercati anglosassone e di quello americano in particolare.

C'era, in quel paper, innanzitutto la delusione di chi non aveva trovato nella sua attività di regolatore un sostegno teorico adeguato e doveva constatare che gli interventi normativi più recenti erano stati varati sull'onda dell'indignazione populista per le truffe perpetrate ai danni degli investitori di minoranza, piuttosto che in base a un'analisi teoricamente fondata. Ma c'era la lucida analisi del grande economista, che - lungi dall'innamorarsi dell'eleganza formale dei modelli - dimostrava che la teoria dominante era basata su ipotesi troppo restrittive per spiegare le patologie maggiori del mercato finanziario e spesso conduceva anche indagini empiriche tanto vaste quanto deboli sul piano metodologico.

C'è tutta la lucidità analitica di Luigi in quelle pagine, ma anche la sua capacità di esprimere in modo raffinato giudizi taglienti: memorabile è la parte in cui dimostra la debolezza delle analisi empiriche che andavano per la maggiore sul grado di protezione degli investitori e che giungevano all'invariabile conclusione che il sistema americano era il migliore dei mondi possibili. La letteratura basata sugli studi di La Porta, Lopez-de Silanes, Shleifer e Vishny («la banda dei quattro», la definiva sarcasticamente in privato) veniva smontata pezzo per pezzo dimostrando l'inadeguatezza degli indicatori scelti per misurare la protezione dell'investitore.

Il saggio si chiudeva con queste parole autobiografiche: «Avviene così che l'economista il quale, per i casi della vita, si trovi per qualche anno a fare il regolatore avverta un acuto senso di schizofrenia: subisce il fascino, sempre presente, della costruzione teorica, ma raramente riesce a ricavare dalla teoria indicazioni per la sua pratica. Il rischio, naturalmente, è quello di cadere fra due sedie». Quelle parole sono un invito al rinnovamento dell'analisi di una larga parte degli studi in materia di mercati finanziari e forse non sono state ancora colte in modo adeguato dalle nuove generazioni. Quello che è certo è che è molto difficile che qualcuno riesca a scrivere un saggio di raffinata teoria, capace di rivoluzionare il corso degli studi fino a quel momento, avvolgendo il pugno di ferro del rigore analitico nel velluto di un'ironia qualche volta tagliente. Per questo Luigi ci manca ogni giorno di più.
IL LIBRO Il libro. "Luigi Spaventa, economista civile", edito da Aragno, raccoglie saggi inediti di molti dei partecipanti al convegno Luigi Spaventa. La sua vita, le sue passioni, le sue lezioni che si è tenuto ieri all'Università Bocconi di Milano alla presenza del Capo dello Stato, Giorgio Napolitano. L'economista è scomparso il 6 gennaio 2013, all'età di quasi 79 anni, dopo una vita freneticamente attiva come studioso, professore, pubblicista, banchiere e uomo delle istituzioni.

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