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Questo articolo è stato pubblicato il 29 settembre 2013 alle ore 10:09.

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Mentre a Roma si discute - scrive Tito Livio - Sagunto viene espugnata.
Sono passati più di 22 secoli, ma poco è cambiato. A Roma si discute sempre e a morire ora è il nostro Paese. Non per l'invasione di un moderno Annibale, ma per l'insipienza della nostra classe dirigente.
Ben vengano gli stranieri, se questi stranieri portano soldi e opportunità di sviluppo.

Non passi lo straniero (ma neppure l'imprenditore nostrano) se usa cavilli e trucchi per appropriarsi del controllo delle nostre imprese e farle morire. Il nemico non è lo straniero (di straniero non si dovrebbe parlare nel caso di imprese europee): il nemico siamo noi, i nostri cavilli, disegnati per proteggere alcuni signorotti nostrani, e che oggi ci si ritorcono contro. Possiamo forse accusare i francesi del declino Alitalia? L'impresa andava venduta ad Air France almeno sei anni fa. In questi sei anni ha perso più di un miliardo di euro, dopo aver accollato 3 miliardi al contribuente, e aver monopolizzato la rotta Milano-Roma per la maggior parte di questo periodo, danneggiando i viaggiatori. Con questi soldi avremmo potuto pagare una pensione principesca a tutti i suoi dipendenti.

Colpa della politica – dicono molti. E certamente la politica – Berlusconi in testa – ha grosse responsabilità. Ma la colpa non è solo della politica. Alitalia è privata da 6 anni ed è un disastro uguale (se non peggiore). La colpa è del sistema decisionale consociativo di questo Paese, che negli anni ha selezionato una classe dirigente più abile a fare lobby nei palazzi romani che a prendere decisioni industriali. Guardiamo la lista dei "patrioti" che sono intervenuti a "salvare" Alitalia. In primis, Emilio Riva, arrestato perchè accusato di aver inquinato Taranto. Salvatore Ligresti, arrestato per prchè accusato di aver defraudato i suoi investitori in Fonsai, Francesco Bellavista Caltagirone, arrestato per frode fiscale e frode ai danni dello stato, Antonio Angelucci, sotto indagine penale perché avrebbe abusato dei finanziamenti pubblici all'editoria. E' un terribile gioco del destino che "punisce" i patrioti o i patrioti hanno investito in Alitalia anche per farsi perdonare dei "peccatucci" o concedere dei favori? Nel qual caso il danno delle operazioni di sistema sarebbe doppio. Non solo si distrugge una società, ma si distorcono con favori e privilegi anche tanti altri mercati.

A dirigere tutte queste mirabili operazioni è sempre Banca Intesa. Tra prestiti a Zaleski e quelli a Zunino, investimenti in Alitalia e in Telco, Banca Intesa ha sempre partecipato attivamente a tutte le operazioni rivelatesi più disastrose per il nostro Paese. Con la sua arcana governance e le sue lotte intestine, Banca Intesa contribuisce a quel sistema di veti incrociati e di immobilismo che paralizzano le nostre imprese e le uccidono.
Sono questi imprenditori e manager le vittime della politica romana? Vorrebbero atteggiarsi come tali, ma sono al contempo vittime e carnefici. Vittime perché storicamente questo consociativismo è nato dalla politica: dallo strapotere dei sindacati che ricattavano politicamente tutte le grandi imprese del nostro Paese e dalla necessità di condividere il potere con un partito comunista che non poteva governare, ma voleva contare (e condividere le spoglie).

Ma queste condizioni storiche sono da tempo svanite. E il consociativismo è rimasto per volontà proprio di quegli imprenditori e manager che si atteggiano a vittime. Cresciuti nel consociativismo, costoro non sembrano in grado di operare al di fuori di esso, e quindi tendono a perpetuarlo. Il consociativismo è una cultura che piace a chi sta al potere. Consociativismo significa innanzitutto consenso con il potere. Il consenso riduce la competizione ed elimina la responsabilità individuale: se siamo tutti d'accordo, siamo tutti corresponsabili, ovvero nessuno è responsabile. Il concetto di accountability (rendere conto ad altri di come il potere viene usato) non esiste neppure nel nostro dizionario. Senza accountability il potere logora solo chi non ce l'ha.

Perciò questi imprenditori e manager sono anche carnefici. Non solo in questa politica ci sguazzano, ma la sostengono e riproducono. Riva non finanziava forse Bersani? Ligresti non era un amico di La Russa (dopo esserlo stato di Craxi)? Bazoli non è forse lo sponsor di Prodi e il compagno di gite in barca di Piero Fassino?

A fronte di questo capitalismo malato, esiste un capitalismo sano, fatto di imprenditori che competono sul mercato mondiale nonostante il peso fiscale di uno stato ipertrofico e inefficiente. Con rare eccezioni, questo capitalismo sano è fatto di imprese medie e piccole, che rimangono tali non per l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, ma per sfuggire ai taglieggiamenti della politica. Molte di queste imprese non solo resistono, ma anche, a fatica, si espandono. Per quanto ancora? In un mercato globale è difficile competere con una palla al piede. O ci liberiamo della palla o questa ci tirerà a fondo. È venuto il momento di ribellarsi, non per difendere i capitalisti nostrani, ma per salvare il nostro capitalismo morente dai capitalisti incapaci siano essi italici o foresti.

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