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Questo articolo è stato pubblicato il 01 ottobre 2013 alle ore 06:50.

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Caro Direttore,
“l'anomalia italiana parte dall'evasione” è il titolo scelto sabato scorso da Il Sole 24ore per il testo che riproduce ampi stralci del mio intervento al convegno della Bocconi svoltosi venerdì 27 settembre in memoria di Luigi Spaventa. E “l'evasione fiscale spiega le difficoltà del Paese?” è la domanda posta dal Corriere della Sera ai suoi lettori, per verificarne la “condivisione” con l'opinione del Governatore della Banca d'Italia.

Purtroppo nell'epoca di Twitter non si può impedire ai giornali, anche i più prestigiosi, di ricorrere alla reductio ad unum tipica dei blog e ai titoli a effetto cui spesso ricorrono i lanci di agenzia. Con riferimento all'evasione fiscale, tuttavia, il titolo a effetto e il sondaggio che ne deriva stravolgono un ragionamento che mi è parso importante, in questo difficile momento della nostra storia non solo economica, richiamare.
Nell'intervento al convegno della Bocconi per Luigi Spaventa ho ricordato discussioni e confronti tra Spaventa e “governatori, dirigenti ed economisti della Banca d'Italia” nell'arco di oltre cinque decenni. Mi sono in particolare soffermato sulle molteplici cause della persistenza di un'inflazione ben più elevata che in altri paesi industrializzati nei venti anni che intercorrono tra lo shock petrolifero del 1973 e la crisi valutaria e finanziaria del 1992-93. Ho quindi sottolineato come le analisi condotte da Spaventa (con il CER) e dalla Banca si collocarono allora (1991) sulla stessa linea, “identificando nel forte deficit di concorrenza e nella bassa dinamica della produttività nei servizi rispetto all'industria l'anomalia italiana nei confronti dei nostri partner”, aggiungendo che tale anomalia era “resa ancor più forte dalla maggiore evasione fiscale … che contribuiva a far sopravvivere imprese marginali inefficienti”.

Ritengo che l'evasione fiscale costituisca tuttora un grave handicap lungo la strada, necessaria, di ridurre il peso del fisco, in primis sui redditi di lavoro e d'impresa. Ma non ho detto che è questa l'“anomalia” che spiega le difficoltà della nostra economia. Essa è purtroppo e da troppo tempo frenata da vincoli e ostacoli al cambiamento, da inefficienze pubbliche e private, da “eccesso di debito e carenza di Stato” – come oltre venti anni fa scrissi con Fabrizio Barca, allora in Banca d'Italia, nello stesso saggio che avanzava la relazione, condivisa da Luigi Spaventa, tra la persistenza, così a lungo, di un'inflazione tanto più elevata di quella dei nostri partner e la crescita troppo bassa della produttività in ampi comparti dell'economia italiana protetti dalla concorrenza. Oggi, anche e soprattutto grazie all'euro, quell'inflazione è un ricordo, anche se resta un ammonimento. L'anomalia, però, come ho aggiunto nel mio intervento alla Bocconi, ancora continua e “contribuisce a spiegare le gravi difficoltà nelle quali oggi versa la nostra economia”. Questa, cioè, è ancora l'anomalia che più ci divide dagli altri principali paesi, un'anomalia che trova radici nella resistenza, di cui tutti sono, siamo responsabili, a difendere particolari rendite di posizione, senza investire in un altro futuro, a colmare il grave ritardo nell'adeguamento ai grandi cambiamenti politici, economici e tecnologici che hanno colpito il pianeta negli ultimi venti anni e più.
Governatore della Banca d'Italia

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