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Questo articolo è stato pubblicato il 02 ottobre 2013 alle ore 08:17.

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Pubblichiamo uno stralcio del Rapporto Cer 2/2013 "Barche controcorrente". Il primo capitolo affronta il tema della grande depressione dell'economia italiana. I dati dell'ultima crisi sono messi a confronto con quelli relativi agli altri grandi shock subiti dal nostro Paese.

Il Pil italiano si ridurrà anche nel 2013, per il secondo anno consecutivo e per la quarta volta negli ultimi cinque anni e la riduzione interesserà anche i valori nominali, come già nel 2009 e nel 2012. Un simile periodo di contrazione della domanda aggregata e di contestuale perdita di capacità produttiva non ha paragoni nella storia della Repubblica italiana. I grafici 1 e 2 riportano, a tal riguardo, un confronto, per dimensioni e durata, fra la fase recessiva di oggi e gli altri due episodi di flessione del prodotto reale verificatisi dopo la fine della seconda guerra mondiale, collocati nel 1975 (crisi petrolifera) e nel 1993 (crisi della finanza pubblica ed espulsione della lira dal Sistema Monetario Europeo). Oltre al Pil, che dà misura degli andamenti della domanda aggregata, si considera la produzione industriale, che approssima le evoluzioni dal lato dell'offerta.

(...) Risulta in tutta evidenza come il periodo odierno non sia confrontabile con gli episodi recessivi del 1975 e del 1993, né per profondità, né per durata. Nel primo caso il Pil (grafico 1) si contrasse del 2,1% per ritornare già nel 1976 (periodo t+2) al di sopra dei valori pre-recessivi; al sesto anno si registrava una crescita cumulata del 21,6 per cento. Nel 1993 la flessione del prodotto fu inferiore all'1% e, anche in questo caso, fu recuperata già nel periodo t+2; all'anno t+6 la crescita cumulata raggiungeva lo 8,9 per cento. Oggi, sei anni dopo l'innesco della crisi, il Pil resta oltre otto punti e mezzo al di sotto dei valori di partenza.
Con riferimento alla produzione industriale (grafico 2), vi fu nel 1975 una brusca contrazione (-10%), recuperata già nell'anno successivo; negli anni Novanta la flessione fu più graduale e raggiunse nel 1993 il -4,4 per cento. Al periodo t+6, l'indice di produzione industriale aveva comunque riguadagnato più di 18 punti negli anni Settanta e quasi 6 punti negli anni Novanta. Nell'episodio attuale, la produzione ha toccato un primo "punto di cavo" nel 2009 (t+2), scendendo di oltre il 22% rispetto al livello pre-recessivo. L'anno t+6, quello in corso, coincide, dopo l'incompleto recupero del 2010-2011, con uno scivolamento su un nuovo valore di minimo (-23% rispetto al 2007).

(...) Sembra chiara la similitudine con le vicende odierne e in particolare con la sterzata impressa alla manovra di finanza pubblica in seguito all'esplosione della crisi dei debiti sovrani. E pochi dubbi si possono avere sul fatto che nel passato biennio, la politica di bilancio non abbia sostenuto la crescita, contribuendo all'approfondimento della recessione. La differenza con il periodo ottocentesco (richiamato nell'introduzione del rapporto, ndr) è che, come effetto dell'unificazione, si stavano allora costruendo le condizioni (allargamento dei mercati e accumulazione di capitale umano) per quel processo di convergenza che avrebbe preso avvio negli anni Novanta del secolo. Dietro al rigore del bilancio, erano cioè all'opera fattori di accelerazione dello sviluppo. Non sembra di poter dire altrettanto dell'oggi. (...) Spezzare il circolo vizioso che collega la restrizione del bilancio alla caduta degli investimenti costituisce, a nostro parere, una priorità assoluta per il programma di politica economica della nuova legislatura.

Una seconda riflessione è più direttamente riferibile al ruolo delle politiche all'interno di periodi di persistente recessione. In questo caso, torna utile il paragone con gli anni Trenta del secolo scorso, quando gli interventi straordinari per il salvataggio di banche e imprese impedirono alla crisi di assumere caratteri dirompenti. La crisi degli anni Trenta, infatti, fu all'origine di una delle più importanti innovazioni istituzionali in campo economico della storia d'Italia: la creazione dell'Iri. I salvataggi delle grandi banche holding impedirono che la crisi bancaria avesse esiti austriaci o tedeschi. Lo stato acquisì il controllo di una larga parte delle grandi imprese italiane: in questo modo la crisi degli anni Trenta creò uno degli strumenti che avrebbe contribuito alla rapida ricostruzione e allo sviluppo postbellici. Fu, quella di allora, una scelta straordinaria.

(...)Senza uno sforzo di fantasia e progettazione come fu quello dell'Iri, quali prospettive possiamo disegnare per la nostra economia? Le previsioni di questo Rapporto forniscono, al riguardo, indicazioni chiare: la sospirata ripresa, che stimiamo prendere avvio nel corso dei mesi estivi, ci restituirà, alla fine del 2015, solo due degli oltre otto punti di prodotto persi negli ultimi sei anni. Un risultato che non accontenta. Forse, per promuovere il necessario sforzo di progettualità, occorre allora acquisire definitiva consapevolezza del fatto che anche quella di oggi è una situazione straordinaria, perché non stiamo vivendo una recessione né una grande recessione, ma una depressione, probabilmente la nostra Grande Depressione.

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