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Questo articolo è stato pubblicato il 03 ottobre 2013 alle ore 07:09.
L'ultima modifica è del 03 ottobre 2013 alle ore 08:22.

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Il motto della scuola è un distillato del pensiero confuciano: «Raggiungere la virtù, comprendere la ragione, allenarsi al pensiero, agire con eleganza». Il governo di Pechino ha fatto le cose in grande. La prima scuola internazionale italo cinese (Siic) in Europa, finanziata dalla Cina in partnership con un gruppo di imprenditori della stessa nazionalità che lavorano in Italia, aprirà le sue aule tra meno di un mese a Padova.

Tutto è pronto in via Palladio 51, nel cuore dell'Arcella, il popoloso quartiere multirazziale alle spalle della stazione ferroviaria. Li Xuemei, lettrice di cinese all'università Ca' Foscari di Venezia, è felice come una bambina: 6.500 metri quadrati inondati di luce e un grande parco interno, due milioni per la ristrutturazione e un anno di lavoro. Dalla materna alla scuola media inferiore, 22 alunni al massimo per classe, 4.500 euro la retta mensile, più 4 euro al giorno per la mensa. Li mostra orgogliosa le cucine d'acciaio appena installate: «Abbiamo voluto sia i fornelli italiani che quelli cinesi. La scuola sarà espressione delle due culture».

L'idea di fondare una scuola internazionale bilingue - ce ne sono a Singapore, Indonesia, Stati Uniti, Canada ma non in Europa - è di Li, fondatrice e animatrice del Drago d'Oro, un doposcuola per bambini cinesi aperto quindici anni fa. Il nuovo istituto di Padova, seguito passo dopo passo dal console cinese a Milano e appoggiato dall'ex sindaco e ministro dello Sviluppo economico, Flavio Zanonato, è solo il debutto. Entro due anni Li inaugurerà un ateneo cinese. Le prime facoltà saranno Economia, Turismo e Lingue. Una nuova sfida per la formazione universitaria italiana, proprio nella città che ospita uno degli atenei più antichi e blasonati.

In entrambi i casi Pechino non farà mancare il sostegno economico e politico: per la scuola dell'Arcella invierà sei insegnanti madrelingua, spesati e retribuiti dallo Stato cinese, e un centinaio di tablet per gli studenti. Li Xuemei in questa avventura ha sempre avuto al suo fianco il marito cinese, pure lui insegnante universitario nel Nord-Est che chiede di non essere citato. La coppia di docenti si esprime sempre nella lingua di Dante, tranne quando la conversazione scivola sulla qualità dell'insegnamento nel nostro Paese. Marito e moglie parlottano in cinese, poi lui si lascia andare: «Sappiamo tutti come funzionano i concorsi a cattedra in Italia». Li, diplomaticamente, sposta il ragionamento sul piano pedagogico: «La scuola italiana è troppo permissiva, quella cinese troppo rigida. Noi crediamo in un sistema educativo più equilibrato che aiuti italiani e cinesi a conoscersi meglio».

Finite le lezioni, intorno alle 16, i ragazzi saranno invitati a frequentare corsi gratuiti di kung fu, tai chi, calligrafia, pittura, musica e danza. La scuola chiude alle otto di sera. «Siamo sicuri - dice Li - che le mamme italiane apprezzeranno il tempo prolungato». Forse meno apprezzate saranno le doppie festività previste nel calendario scolastico. Oltre a quelle nostrane, gli studenti celebreranno la festa di metà autunno, la festa nazionale cinese, il capodanno cinese, la festa degli antenati e quella dei draghi. Italia e Cina, almeno in questo, sono Paesi gemelli.

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