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Questo articolo è stato pubblicato il 10 ottobre 2013 alle ore 07:57.
L'ultima modifica è del 13 ottobre 2013 alle ore 13:24.

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Vista l'urgenza di trovare una soluzione per Alitalia, le carte a disposizione del Governo sono ormai ben poche.

Poiché nessun privato accetterebbe di comprare il vettore in 48 ore, la strada della soluzione-ponte con l'intervento delle banche e di Fintecna sembra l'unica percorribile nel breve: fatta la ricapitalizzazione, si passerà alla seconda fase, con l'intevento di un nuovo socio stabile - presumibilmente le FS - in grado di sostenere ristrutturazione e rilancio. Nella seconda fase si giocherà la vera partita non solo su Alitalia, ma tra Stato e mercato. Per quanto l'ipotesi Ferrovie appaia rischiosa, ha il potenziale per creare un nuovo modello di impresa nei trasporti. Il punto di partenza è che, dall'Asia all'Ue, la concorrenza tra aerei e treni ad alta velocità ha cambiato le regole del gioco. Servizi di qualità e tariffe più economiche di quelle degli aerei hanno costretto i vettori a guerre dei prezzi. Nessuno prima dell'Italia aveva pensato di combinare i due sistemi: tra treni e aerei c'è sempre stata concorrenza. Creare una realtà in grado di gestire sinergicamente i due sistemi, oggi caratterizzati da modelli di business differenti e con esigenze di investimento diverse, rappresenta una sfida per il sistema Paese. Operazioni di questo tipo hanno bisogno non solo di risorse, ma soprattutto di un Governo e un Parlamento in grado di sostenerle senza distorcere le regole della concorrenza, creando le migliori condizioni normative, competitive e contrattuali possibili.Per non passare solo come l'ennesimo salvataggio in extremis, l'integrazione tra Alitalia e Ferrovie dovrebbe essere accompagnata da una seria discussione sui rischi e sulle ricadute per il Paese, da un dibattito che faccia da apri-pista a un nuovo Piano nazionale dei trasporti. La fusione dovrebbe essere affrontata come la base di un progetto di politica industriale. Ma anche per il management di «Ferritalia» la sfida non sarebbe minore.

Studi e ricerche sul modello di business aereo-treno sono merce rara, ma non le analisi delle banche di investimenti sull'effetto devastante dei treni ad alta velocità sui bilanci dei vettori aerei: le compagnie aeree difficilmente saranno in grado di competere con le tariffe dei treni veloci nelle tratte fino a 310 miglia, più o meno la distanza tra Milano e Roma. Per evitare una concorrenza intra-gruppo, il modello di business e le rotte di Alitalia andrebbero quindi rivisti, così come dovrebbero cambiare il mix e la fisionomia della flotta di Alitalia-AirOne: gli "shuttle" tra Linate e Fiumicino diventerebbero superflui, mentre diventerebbero più funzionali gli aeromobili per il medio e lungo raggio. In ogni caso, è bene tenere presente che operazioni di questo tipo non sono mai a costo zero: ogni riassetto, e questo farebbe scuola, genera esuberi.
Se il miracolo riesce, l'Italia potrebbe diventare un modello. Se l'esperimento fallisce, l'Italia rischia di pagare un conto salatissimo: due aziende da salvare invece di una, migliaia di esuberi, contribuenti furiosi.

Il successo dell'operazione si basa su un "sogno". Che l'integrazione tra Alitalia e FS vada avanti su basi serie di politica manageriale e industriale. Che si prenda atto che le aziende vanno governate da manager e con logica da manager, con le mani libere e senza pali e paletti posti a segnare i limiti "politici". Che la missione loro affidata non sia quella di conservare l'utopica italianità che ha condotto al disastro, ma il risanamento dei conti e la scelta di partner e strategia. Che l'operazione, infine, non segni ulteriori oneri a carico dello Stato, né sia un ulteriore freno al consolidamento della libertà di mercato. Far quadrare il cerchio non sarà facile.

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