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Questo articolo è stato pubblicato il 12 ottobre 2013 alle ore 08:55.

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Un secolo e 12.604 km separano Highland Park, dove il 7 ottobre 1913 Henry Ford inaugurò la prima catena di montaggio, e Foxconn City a Shenzhen in cui un numero imprecisato di operai - chi dice 230 mila, chi 450 mila - assembla prodotti per grandi marche dell'elettronica. A parte la superficie, quasi 5 km2 in Michigan, 3 km2 in Cina, nulla sembra legare le due esperienze. Il secolo breve, senza dubbio americano, è finito e uno nuovo, assai probabilmente asiatico, si annuncia.
A prima vista il fordismo sembra vivo e vegeto. Foxconn deve il suo successo alla capacità di meccanizzare il lavoro, intensificarlo e promuovere la produzione di massa. Le megalopoli asiatiche combinano coazione sociale (nessuna traccia di sindacalismo) e consenso (propaganda ideologica) per riprodurre all'ennesima potenza il processo di razionalizzazione tra produzione e lavoro. Antonio Gramsci però riconosceva al fordismo il merito di contribuire alla formazione di una coscienza di classe. La catena di montaggio e la standardizzazione del prodotto permettevano guadagni di produttività in parte retrocessi agli operai, pagati tre volte più che dai concorrenti. Nessuna magnanimità, semplicemente la consapevolezza che dar loro la possibilità di accedere ai consumi significava vendere più auto. Nulla di tutto ciò nel modello Foxconn. Siamo lontani dal "lavoratore collettivo", specializzato e orgoglioso del suo lavoro. Nella società di Taiwan i guadagni di produttività favoriscono il consumatore, più che il produttore. Non a caso la maggior preoccupazione del fondatore, Terry Gou, è trovare giovani operai, malgrado il lavoro monotono, mal pagato e spesso insalubre. Dopo lo scandalo dei suicidi nel 2010, a poco è servito aumentare del 20% i salari, passati a 400 dollari al mese, e trasferire le linee di produzione verso la Cina profonda. Mentre il fordismo voleva fare dell'operaio un "gorilla ammaestrato", Foxconn pensa di sostituirlo con robot.
Se c'è un comune denominatore, è che entrambi i modelli sono immersi nella globalizzazione. Foxconn è sinonimo della i-economy: è il maggior produttore per conto di Apple, Dell e Sony e ha fabbriche in sette paesi emergenti e in Giappone. Ma anche la società di Detroit esportò la sesta macchina prodotta e aprì la prima fabbrica estera prima di celebrare il terzo compleanno. Del resto, il fordismo è difficile da comprendere se slegato dall'affermazione del dominio americano e del consumismo di massa. Cent'anni dopo, per Gou la sfida è imparare da Alfred Sloan. Mentre Ford rimase prigioniero della standardizzazione, il capo della General Motors capì rapidamente che nel lungo periodo c'è bisogno di varietà per conquistare clienti via via più sofisticati. Foxconn sta diversificando nei servizi, nell'alta tecnologia e nella promozione della propria marca. Un intervento probabilmente necessario perché il nuovo fordismo asiatico si dimostri altrettanto longevo che l'originale.
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