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Questo articolo è stato pubblicato il 15 ottobre 2013 alle ore 06:50.

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Cavalcare la tecnologia più che cercare di fermarla



Viviamo in un periodo di grandi incertezze. Non si vedeva da tempo una crisi economica così lunga e difficile. E non è facile pensare di poter affrontare il problema dell'occupazione, soprattutto dei giovani, in un sistema in cui le innovazioni tecnologiche e informatiche sembrano provocare ancora a lungo tagli dei posti di lavoro. Pensiamo alle banche dove il lavoro allo sportello è via via sostituito dalle transazioni via internet, ma anche alla Pa dove le nuove procedure creeranno personale in eccesso e renderanno più difficili le nuove assunzioni. Non sarebbe il caso di porre dei limiti all'invadenza delle tecnologie?
Mauro Leoni
Prato
Gentile Leoni, duecento anni fa nell'Inghilterra in piena rivoluzione industriale nacque un movimento operaio che prese il nome di «luddismo» dal nome di un operaio, Ned Ludd, che nel 1779 avrebbe preso a martellate un telaio in un'industria tessile. Quel movimento predicava il sabotaggio dei macchinari industriali considerati il fattore principale della disoccupazione e quindi dell'estendersi della povertà. I luddisti riuscirono a far sollevare la protesta in alcuni distretti inglesi, ma il loro spirito oltranzista e radicale non riuscì a trasformarsi in propositi costruttivi capaci di andare oltre alla protesta. Alcuni anni fa, alla fine del secolo scorso, a Barnesville in Ohio ha mosso i primi passi un movimento che si è autodefinito «neo luddism» con l'intento di lottare contro la civiltà dei computer e la «mostruosità» della tecnologia. Per ora non ha fatto grandi passi. In una certa prospettiva va in questa direzione anche il movimento per la «decrescita felice» guidato dal francese Serge Latouche che pone tuttavia l'accento più sui temi dell'ecologia e di un corretto rapporto tra l'uomo e la natura. Detto questo mi sembra tuttavia sbagliato demonizzare a priori la tecnologia. Lo dobbiamo ai progressi della ricerca e della scienza se oggi viviamo in una società con una qualità di vita e di lavoro enormemente migliore di quella in cui viveva Ned Ludd. Certo la tecnologia va guidata. Ma i lavori che oggi, come in passato, vengono sostituiti dalle macchine, sono quelli meramente esecutivi, lavori in cui la persona deve usare solo la forza e non l'intelligenza, solo la manualità e non la creatività. Il vero problema non è allora quello di aver nostalgia per questi «vecchi» posti di lavoro, ma trovare le politiche giuste per formare i giovani e i meno giovani a sviluppare competenze nuove in un diverso mondo della produzione. La rivoluzione informatica ha già provocato grandi cambiamenti, in gran parte positivi: ostacolarla è inutile, molto meglio cercare di cavalcarla.
g.fabi@ilsole24ore.com
Province, alternativa all'abolizione
In Sicilia, le Province sono state «quasi» abolite: la legge regionale 7/2013 ha stabilito che in attesa di una norma che disciplini l'istituzione dei liberi consorzi comunali «è sospeso il rinnovo degli organi provinciali», ovvero è sospeso il rinnovo degli organi politici della Provincia i cui poteri passano nelle mani di un commissario straordinario nominato dal presidente della Regione. La struttura burocratica della Provincia e le relative funzioni rimangono inalterate ma le attività di coordinamento, indirizzo e controllo vengono esercitate da un burocrate regionale nelle vesti di commissario straordinario: la burocrazia assurge a politica. Nel territorio delle Province «abolite» insistono i Comuni le cui risorse finanziarie ed umane, carenti o inadeguate, determinano l'impossibilità di sviluppare progetti in assenza dei quali non è possibile utilizzare i famigerati fondi Ue. Alla luce di quanto sopra appare logico proporre: e la modifica del ruolo istituzionale delle Province assegnando alle stesse solo e soltanto funzioni a carattere sovra-comunale quali la gestione delle reti e la progettazione ai fini dello sviluppo territoriale coordinato; r la modifica degli organi politici delle Province prevedendo un livello politico derivato ma direttamente connesso al livello comunale: Consiglio provinciale composto da consiglieri comunali, Giunta Provinciale composta dai Sindaci. Le modifiche proposte determinerebbero: a) l'utilizzo razionale dell'Ente Provincia con evidenti risvolti positivi in termini di pianificazione e sviluppo coordinato del territorio; b) il ripristino del rapporto fiduciario tra politica e Cittadini. Entrambi gli effetti deriverebbero dall'implementazione di una virtuosa convergenza di interessi tra politica comunale e provinciale.
Antonio Latora
Università degli Studi di Catania

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