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Questo articolo è stato pubblicato il 18 ottobre 2013 alle ore 06:35.
L'ultima modifica è del 18 ottobre 2013 alle ore 08:12.

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La soglia unica per l'Opa obbligatoria italiana è stata fissata nel 1998 da Mario Draghi e anche il riferimento al 30% è immutato da allora. Può darsi che la longevità della normativa - che ha resistito a pressioni interne e internazionali - sia di per sé un buon motivo per discuterne una manutenzione anche radicale. Il «Testo unico della finanza» - è vero - è stato elaborato al culmine delle privatizzazioni italiane, quando la finanza di mercato sembrava una dimensione unica e irreversibile.

Può essere corretto ripensare l'Opa italiana (e forse tutto il resto) a fine 2013, quando molto - se non tutto - è cambiato sotto i cieli della finanza. Se è lecito immaginare una «doppia soglia» per l'Opa, non sembra però utile azzardare doppi salti estemporanei. Il Tuf tuttora in vigore non è nato da una mozione a maggioranza del Senato, con il governo palesemente cauto. E nato in anni di lavoro bipartisan di Esecutivo e Parlamento; di confronto con il mercato e con lo stato dell'arte internazionale; di supervisione tecnica da parte di un economista che è stato poi chiamato alla guida di Banca d'Italia e Bce. Le norme del 1998 erano coerenti con un orientamento forte e condiviso dello sviluppo economico-finanziario del Paese; e non furono certo pensate per gonfiare le vele dell'Opa Telecom, lanciata nell'arco di pochi mesi. Qual è l'"orientamento condiviso" nel 2013 su assetti proprietari e governance delle grandi imprese e sul ruolo della Borsa? E' opportuno cambiare in corsa regole singole e delicate solo per bloccare il riassetto in corso nella Telecom odierna? Cosa significa introdurre una «doppia soglia Opa» in un listino che ospita Eni, Enel, Autostrade, grandi banche, alla vigilia prevedibile di nuovi riassetti nella Ue? (Antonio Quaglio)

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