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Questo articolo è stato pubblicato il 19 ottobre 2013 alle ore 08:24.

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Il Sud può ripartire davvero se si pensa al capitale umano



Leggo (sconsolato) nell'ultimo rapporto della Svimez di un Sud sempre più deserto industriale. Ancora più sconsolato vedo che il tema di quella che una volta si chiamava "questione meridionale" è – per dirla alla Nanni Moretti - praticamente scomparsa da ogni dibattito. Nessuno ne parla più, né a destra né a sinistra. Abbiamo forse alzato bandiera bianca, condannando una parte importante del Paese a un ruolo da comparsa dello sviluppo? Come fare a riaccendere i riflettori sul Mezzogiorno e a (ri)dare una speranza ai suoi abitanti, quelli giovani soprattutto, costretti come 50-100 anni fa ancora ad emigrare per assicurarsi una vita dignitosa?
Vito Altomonte
Lecce
Effettivamente, le prospettive indicate dalla Svimez sono terrificanti, ma non sembrano aver suscitato eccessiva emozione. Temo che ormai abbia preso piede la percezione che l'Italia possa fare a meno del Mezzogiorno. Ma se, e quando, ripresa sarà, essa non potrà contenersi alle regioni centro-settentrionali: che spinta avrebbero le imprese senza la domanda proveniente dalle regioni del Sud? E come garantire una crescita significativa del Pil se nel Sud questo continuerà ad arrancare?
Fra rassegnazione al Sud e indifferenza al Nord, l'Italia si è già spaccata. Ma il risultato non conviene al Paese. Il punto è che continuare con le politiche fallimentari del passato è impensabile, anche per mancanza di fondi (e, quando ci sono, per la incapacità a spenderli, come dimostra la gestione delle risorse Ue); la Svimez nel suo rapporto insiste sull'esigenza di rafforzare gli investimenti pubblici, ma la lezione del passato dovrebbe indurre a qualche ulteriore riflessione. Senza garanzie di cambiamento nella politica e nelle pubbliche amministrazioni, come pensare che basti riprendere a investire per colmare un divario che nei decenni, nonostante cospicui interventi pubblici, si è acuito? Per questo mi piacciono l'analisi e le proposte avanzate da Carlo Borgomeo nel libro L'equivoco del Sud (Laterza): il ritardo del Mezzogiorno, scrive, sta nel divario non tanto del Pil quanto della qualità di quei servizi che rendono possibile la convivenza e favoriscono processi autonomi di sviluppo: istruzione, giustizia, buona amministrazione. Insomma, prima che a quello fisico e finanziario, occorre pensare al capitale sociale. Non è con l'illusione della dipendenza che il Sud si risolleverà, anche se ai politici fa più comodo perpetuarla.
Patrimoniale vera e propria
È venuto il momento di smetterla con l'ipocrisia di chi sostiene che la patrimoniale non esiste o che sia necessaria. L'imposta patrimoniale c'è, eccome, e si paga ogni anno su tutte le somme depositate e su tutti i titoli posseduti. L'imposta sui bolli applicata alle relative comunicazioni non è altro che una patrimoniale, fin dai tempi di Tremonti e di Monti. Adesso l'aliquota salirà al 2 per mille ogni anno. Chi ha accumulato onestamente risparmi pagandoci le tasse, ne ripaga ancora un po'.
R. Repetto
Pensioni d'oro
La Corte Costituzionale ha già bocciato in passato il contributo di solidarietà a carico delle pensioni d'oro e il prelievo sui maxi stipendi del settore pubblico. Questi casi ledono il principio di uguaglianza di trattamento: tra pensionati e salariati e tra salariati del settore pubblico e di quello privato. C'è una sola via costituzionalmente valida, perché coerente con il principio di progressività delle imposte: modificare, aumentandole, le aliquote Irpef oltre un certo reddito.
Lettera firmata
Roma
Il caso Priebke
Al di là del disagio nel dover ospitare la tomba di un criminale nazista, più che probabile meta di nostalgici pellegrinaggi, il clamore attorno alla morte di Erich Priebke è la cartina di tornasole di un Paese immaturo. Se l'Italia, a partire dalle sue istituzioni, fosse certa di aver metabolizzato l'esperienza del ventennio e dell'alleanza nazifascista, non avrebbe avuto paura delle pubbliche esequie del cattivo maestro. La banalità del male di cui egli fu attore spietato non può e non deve dare spazio ad incertezze nella condanna storica ed etica. Evidentemente il Paese non è vaccinato contro il morbo di quella malvagità e, forse - ma spero di sbagliarmi - neppure ha del tutto chiaro che quella fu una malattia infettiva dell'animo.
Lettera firmata

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