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Questo articolo è stato pubblicato il 23 ottobre 2013 alle ore 06:45.
L'ultima modifica è del 23 ottobre 2013 alle ore 10:15.

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Quella tra Stati Uniti e Arabia Saudita è sempre stata un'alleanza problematica ma, al contempo, necessaria. Riad ha finora rappresentato un partner energetico indispensabile per il maggiore consumatore mondiale di greggio. Washington, da parte sua, ha sempre sostenuto la monarchia saudita, chiudendo un occhio di fronte alle sue contraddizioni, in modo da avere un alleato strategico in una regione tanto turbolenta quanto ricca di petrolio. Le cose, però, stanno cambiando. L'avvento delle primavere arabe ha allontanato i due Paesi. Già divisi dalla gestione del "dopo Morsi" in Egitto, l'Arabia, potenza regionale sunnita e rivale storico dell'Iran sciita, non ha nascosto la sua irritazione per il "disgelo" tra Washington e Teheran, finalizzato a riprendere i negoziati sul nucleare. Agli occhi dei sauditi, che auspicavano un blitz americano in risposta all'uso di armi chimiche da parte del regime siriano, l'inedita collaborazione tra Usa e Russia, Paese alleato di Siria e Iran, volta a disarmare l'arsenale chimico di Assad, è un boccone indigesto. La rinuncia di Riad al seggio a rotazione di membro non permanente nel Consiglio di Sicurezza è stato un segnale forte. Al quale ne è seguito un altro: la creazione di un gruppo che raccoglie 50 milizie siriane salafite - certo non moderate - anti-regime, diretto dai sauditi. Una decisione che crea problemi ai già difficili tentativi di avviare una fase di transizione. L'avvento dello shale oil sta poi rivoluzionado non solo l'economia americana, ma anche la sua geopolitica. Nel 2017 gli Usa si apprestano a divenire il primo produttore mondiale di greggio . L'autosufficienza energetica è a portata di mano. Riad non sarà più così importante. (R.Bon.)

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