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Questo articolo è stato pubblicato il 17 novembre 2013 alle ore 14:39.
L'ultima modifica è del 17 novembre 2013 alle ore 14:49.

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La frattura all'interno del centrodestra serve a Enrico Letta per guadagnare un anno di tempo. Può sembrare poco, ma invece è tanto se si riflette a un dato: l'esecutivo non avrebbe avuto scampo se si fosse consentito a Berlusconi di stringere la tenaglia intorno all'equazione "decadenza dal Senato uguale crisi di governo". Così invece a Palazzo Chigi si apprezza questa boccata d'ossigeno offerta alle "larghe intese" che da ieri sono meno larghe, ma forse anche meno litigiose.

Berlusconi avrebbe potuto ritagliarsi un crepuscolo meno malinconico, ma non ne è stato capace. Allo stesso modo non ha voluto o saputo dare un respiro più solenne proprio a quella "grande coalizione" da lui voluta in primavera con l'idea di tenerla poi sotto scacco.
Molti osservano che in realtà Berlusconi non è uscito di scena e che è sempre lì, alla guida della vecchia/nuova Forza Italia depurata dei "traditori". Eppure la cerimonia di ieri mattina è sembrata straordinariamente grigia, priva di slancio e di idee. Un arroccamento più che un rinnovato inizio. Abbastanza abile il discorso del leader, con quei toni misurati nei confronti degli scissionisti ai quali ha proposto una sorta di accordo di coalizione, come si usa fra i puledri di una stessa scuderia.
Un messaggio un po' surreale, a prenderlo sul serio, inviato in mezzo alle urla della platea contro i ribelli. Ma si capiva che era soprattutto un gioco tattico, nella speranza o meglio nell'illusione che sia ancora possibile rinviare il voto a Palazzo Madama sulla decadenza, fissato per il 27. O magari ottenere un imprevedibile capovolgimento del fronte grazie a qualche clamoroso colpo di scena.

Certo, si intuisce che Berlusconi – a differenza di parecchi fra i suoi seguaci – non ha molta voglia di andare all'opposizione per diventare il leader populista dell'anti-Europa, escluso da tutti quei circoli politici, primo fra tutti il Partito Popolare, da lui frequentati negli anni d'oro. Allo stesso modo è evidente che egli teme l'isolamento. Eppure è probabile che gli tocchi bere fino in fondo l'amaro calice, una volta che Forza Italia rinasce con la fisionomia del partito legato al destino di una sola persona e che tale destino si compie con l'espulsione del leader dal Senato.
Sull'altro versante, Alfano ha percorso la prima parte del suo cammino. Ha messo nell'angolo Berlusconi, gli ha tolto la possibilità di aprire una crisi a piacimento. Ma ora c'è la seconda parte del sentiero e su questo il vicepremier deve dimostrare ancora tutto. In primo luogo, lui e i cinque ministri hanno l'incombenza di spiegare agli italiani come intendono essere il «nuovo centrodestra». Non bastano i toni generici usati ieri con la stampa estera. C'è bisogno di molto di più. Alfano, Quagliariello, Lupi e gli altri devono ottenere risultati tangibili al tavolo del governo. Dovrà risultare chiaro a tutti, a cominciare dai potenziali elettori, che gli scissionisti non sono rassegnati a scivolare a sinistra, fino a farsi inglobare di fatto nel Pd, né vogliono consegnarsi all'irrilevanza.

Che la scissione sia stata un'operazione di palazzo, non c'è dubbio. Che possa allungare la vita del governo Letta e persino renderlo più stabile, è possibile. Ma il minimo che si possa dire è che Alfano deve ottenere dal premier qualche concessione sul piano dei contenuti. Qualcosa da poter sventolare come il drappo della vittoria. Al tempo stesso il governo delle "piccole intese" ha tutto l'interesse a procedere con la riforma elettorale. Anche perchè dalla nuova legge dipende l'assetto che avrà il sistema dopo gli scossoni di questi giorni.
Quanto al Pd, pochi si aspettavano un simile epilogo nel Pdl. Ora sono i democratici sotto i riflettori. Sul caso Cancellieri, in primo luogo. Ma più in generale sul futuro del centrosinistra fra Renzi e i suoi avversari. Chi sperava che fosse Berlusconi a far cadere il governo da destra per ricavarne un dividendo a sinistra, adesso cambierà strategia. Ma Letta sa che la vera assicurazione sulla vita dell'esecutivo e la sua durata dipende dalla capacità di fare.

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