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Questo articolo è stato pubblicato il 17 novembre 2013 alle ore 14:37.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 10:45.
Concludo in questi giorni il mandato di presidente dell'Accademia di Brera, a Milano: naturalmente, non è questa la sede per trarre un bilancio. Qui, basterà sottolineare le gravi difficoltà in cui questa storica istituzione, le sue consorelle e i Conservatori versano per il concorso di tre cause: una riforma rimasta a metà; una sempre più grave (e non sorprendente) asfissia finanziaria; e un sistema di governance che determina una sostanziale ingovernabilità e, quindi, rischi di autentica paralisi.
E, quindi, tanti auguri alla nuova fase dell'Accademia e al presidente che dovrà governarla, Marco Galateri di Genola.
Il destino dell'Accademia, a Milano, si lega strettamente col destino di Brera, quest'ultimo inteso come un palazzo, un simbolo, un quartiere, una storia. Da diversi anni, ormai, si parla di un ampliamento dell'Accademia, assolutamente indispensabile per assicurare un percorso formativo di qualità; per questo, qualche anno fa, si era firmata, con l'accordo di tutti, l'intesa per ampliare la sede dell'Accademia in due caserme, di futura dismissione, site in un'area urbanistica di gran pregio e per la conseguente espansione, nel palazzo storico di Brera, della Pinacoteca, oggi vittima di cronica mancanza di spazi.
1. Da allora, grazie all'impegno del ministro Lorenzo Ornaghi (e del suo collega Corrado Passera), si è avviato un primo intervento, per complessivi 23 milioni di euro, destinati al sostanziale completamento dell'annoso restauro del contiguo Palazzo Citterio, oltre che al rifacimento delle coperture del palazzo di Brera e ai primissimi passi preparatori nelle caserme destinate all'Accademia. Tutti questi lavori si sono avviati, grazie anche alla determinazione della direttore regionale del ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo, Caterina Bon Valsassina: peccato che per completare il progetto "Grande Brera" manchino ancora quasi ottanta milioni.
Certo non giova a realizzare un progetto tanto complesso la frammentazione delle competenze e delle amministrazioni: ma è altrettanto certo che, ancora, Milano non lo coglie come una priorità assoluta. In questi giorni, per esempio, ci stiamo accapigliando su una struttura caduca quale l'ascensore proposto per assicurare durante i mesi dell'Expo un più ampio accesso alle guglie del Duomo; ma la stessa energia non viene certo riservata al destino di Brera e alle scelte (o alle non scelte), quelle tutt'altro che caduche, che potranno condizionarlo.
Brera è uno dei simboli di Milano: i gesuiti prima e Maria Teresa dopo ne fecero il palazzo delle scienze milanese, con ciò configurando una vocazione che è rimasta decisiva per la città; Napoleone, nel solco dell'attività dell'Accademia di Belle Arti, vi creò una magnifica pinacoteca, tra le più articolate d'Italia, simbolo e sintesi del nuovo regno da lui creato.
Nel destino di Brera, dunque, si sintetizzano le prospettive stesse delle vocazioni che la città vuole coltivare: infatti, come potrebbe Milano proclamarsi città della cultura, della scienza e dell'innovazione, quando apparisse incapace di difendere e potenziare un patrimonio simbolico come quello di Brera? Che cosa pensano i (relativamente pochi) turisti stranieri che arrivano a Brera e la trovano nelle condizioni attuali? Non si venga a dire che è questione di soldi: il completamento del progetto Grande Brera costerebbe quanto pochi chilometri di autostrada; e non è affatto escluso che, di fronte a un progetto serio e articolato - nei tempi, negli obiettivi e nella progettualità - altre risorse possano aggiungersi a quelle pubbliche.
Forse, quello che manca è lo scatto d'orgoglio della città nel suo complesso che su Brera, come spesso accade, si limita (tranne lodevoli eccezioni, quali quelle rappresentate dalle Associazioni degli amici di Brera e dell'Accademia) a osservare, bofonchiare, criticare e, se possibile, paralizzare. Non se lo meritano Milano, le molte istituzioni che a Brera sono ospitate e le migliaia e migliaia di utenti ai quali è sempre più difficile spiegare perché una metropoli ambiziosa lasci i propri tesori in queste condizioni e corroda con l'indifferenza la propria immagine.
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