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Questo articolo è stato pubblicato il 24 novembre 2013 alle ore 14:06.
L'ultima modifica è del 24 novembre 2013 alle ore 14:13.

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In questi giorni, parlare di Statuto dei diritti del contribuente suona un po' paradossale. Domani si apre infatti una fase in cui cittadini e operatori - tra acconti, Imu e Tares - toccheranno con mano il caos totale su scadenze e obblighi fiscali.
«Ha ancora senso lo Statuto del contribuente?», chiedeva provocatoriamente qualche settimana fa Guido Gentili sul Sole 24 Ore.

Erano i giorni successivi alla notizia che il disegno di legge di Stabilità prevedeva - nei fatti - la soppressione di uno degli istituti simbolo della Carta: il Garante del contribuente, destinato a sparire, con passaggio di funzioni al presidente della commissione tributaria regionale. Il Parlamento, lo si è appreso ieri, farà dietrofront e salverà il Garante. Eppure, sul versante dei diritti, non sarà certo questo ripensamento a rendere più tranquilli contribuenti e operatori.
Tra una settimana cade un appuntamento decisivo nell'anno fiscale, quale è il secondo acconto dell'autotassazione. Pochi giorni dopo ci sarà la chiamata generale per la seconda rata dell'Imu. La Tares è pure in calendario in queste settimane.
Ebbene: non c'è uno di questi adempimenti che potrà essere affrontato in tranquillità. E, soprattutto, nessuno di questi adempimenti che - alla fine - sarà allineato ai principi dello Statuto. Non si conoscono le date dei versamenti; non si conoscono le percentuali necessarie per effettuare i calcoli. E, naturalmente, molte disposizioni avranno efficacia retroattiva, magari grazie alla solita "deroga" esplicita alla Carta, che salva forse la forma ma di certo non la sostanza (né la faccia al legislatore).

In 13 anni, da quando cioè è in vigore, lo Statuto è stato violato quasi 500 volte: il divieto di retroattività delle norme tributarie e quello di prevedere adempimenti la cui scadenza sia fissata prima di 60 giorni dalla loro entrata in vigore. Ma anche molto altro: si pensi a quante volte nuovi tributi sono stati istituiti con decreto legge, cosa vietata dall'articolo 4. Oppure al divieto di applicare sanzioni in caso di oggettiva incertezza delle norme che l'amministrazione ignora quasi regolarmente.
Insomma, in questi giorni di caos totale su fronte degli adempimenti fiscali viene quasi naturale raccogliere e rilanciare la provocazione di Gentili.
Ma a che serve uno Statuto dei diritti del contribuente se proprio governo, legislatore e amministrazione sono i primi a ignorare i suoi sacrosanti principi? Anzi, siccome avere leggi regolarmente calpestate è più umiliante che non averne affatto, allora si faccia un atto di coraggio. E di coerenza. Il Parlamento si assuma la responsabilità di abrogarlo, di cancellarlo. Magari con effetto retroattivo, tanto per non perdere le vecchie abitudini.

Fuori da paradossi e provocazioni, è evidente come una riflessione su diritti e doveri in campo fiscale sia quanto mai urgente. Lo Statuto sarà pure una "legge" debole, ma è l'unica che abbiamo. Va rafforzata, applicata e rispettata, in primo luogo del legislatore e dell'amministrazione. Trasparenza, certezza del diritto e garanzie sono valori irrinunciabili. Nella consapevolezza che proprio su questi terreni si gioca la sfida (altrettanto irrunciabile) della legalità fiscale.

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TAG: Statuto

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