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Questo articolo è stato pubblicato il 21 dicembre 2013 alle ore 09:48.
L'ultima modifica è del 21 dicembre 2013 alle ore 10:17.

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È ancora fresco l'inchiostro delle firme sull'accordo europeo che delinea il meccanismo e il fondo unico di risoluzione delle crisi bancarie, sorretti fin dalla nascita da misure di "backstop" (il bazooka nel cassetto), interventi di mutuo soccorso fino a qualche giorno fa impossibili, impensabili da poter mettere nero su bianco sul fronte bancario.

Ed è ancora nell'aria quell'eccitazione, tra soddisfazione e sollievo, che ha portato il ministro Saccomanni a definire di slancio «storica» questa intesa, per quanto ancora agli albori e tutta da scriversi. Storica perché tenuta insieme dal principio della mutualizzazione, un filo sottile ma riconosciuto prima sul tavolo dei 17 poi su quello dei 28. Eppure tutto questo, che misurato con il bilancino europeo dei granellini di sabbia sembra tanto, non è invece bastato a convincere Standard & Poor's che l'Unione europea è oggi più coesa di ieri. Gli esperti della "creditworthiness" sono semmai convinti del contrario: perché proprio ieri, sull'onda degli accordi siglati lungo il cammino dell'Unione bancaria, S&P ha tolto il blasone del rating "AAA" all'Unione europea, declassandola alla "AA+".
Tra le motivazioni, una soprattutto è dura da digerire per chi solo qualche ora fa pensava di aver dato prova di un'Europa sempre più unita: «La coesione tra gli Stati della Ue è diminuita», è il verdetto di S&P che così ha portato avanti imperturbabile quell'outlook negativo posto sul rating Ue il 20 gennaio 2012.

La perdita della "AAA" di per sé non è un dramma, almeno non come sarebbe stato qualche anno fa: gli Usa e la Francia hanno subito l'onta della retrocessione dalla prestigiosa tripla "A", e sono sopravvissuti senza scossoni nelle aste dei propri titoli di Stato. Il declassamento Ue, tuttavia, brucia sulla pelle di un'Unione europea ancora molto giovane e quindi troppo spesso esuberante: serve a ricordare, questa "AA+", che c'è molto lavoro da fare per convincere il mondo intero che gli europei fanno sul serio in fatto di unire le proprie forze (e soprattutto i forzieri). Le vere implicazioni di questo declassamento, tuttavia, non vanno ricercate nella politica perché di politica non si tratta, ma sui mercati: il rischio più temibile è quello di retrocessione per i rating di altri emittenti sovrannazionali europei, Efsf, Esm e Bei.
7Il timore che dopo la Ue possano scattare a tamburo battente altri declassamenti a catena su istituzioni europee chiave è per il momento estremamente basso, (verrebbe da dire nullo, ma non si può, le agenzie di rating ci hanno abituati a non dormire mai sonni tranquilli). Alcuni aspetti tecnici sono oggettivamente rassicuranti. L'Esm, il meccanismo di stabilità (il secondo fondo salva-Stati) avrà a regime - primo semestre 2014) un capitale paid-in di 80 miliardi versato dagli Stati membri dell'Eurozona su un totale di 700 miliardi: ma non ha il rating di S&P's. Quindi, il declassamento è impossibile.

L'Efsf, il primo fondo salva-Stati europeo, ha attualmente il rating "AA" di S&P's. Il suo ultimo declassamento risale all'8 novembre di quest'anno, sulla scia della retrocessione avvenuta quel giorno stesso della Francia, calata dalla "AA+" alla "AA" (un taglio che però all'epoca non ha intaccato la AAA della Ue). L'Efsf è garantito dagli Stati membri dell'Eurozona e quindi è legato direttamente al loro standing creditizio: ma per ora il suo rating sconta tutte le recenti retrocessioni sovrane.
Resta la Bei, che gode della tripla "A" di S&P ma anche di Moody e Fitch. Gli azionisti di questa istituzione sono proprio gli Stati membri della Ue ma il rischio di una retrocessione da parte di S&P's è stemperato dal suo modello di business. Il bilancio della Banca europea degli investimenti è, in un certo senso, a prova di bomba data la natura dei suoi investimenti che sono di lungo termine: la Bei finanzia progetti con elevato grado di solvibilità e sostenibilità. Il rapporto tra capitale e impieghi è molto più basso di quello delle banche( 2,5 volte contro 5-6 volte). Di prestiti in "sofferenza" la Bei sostiene proprio di non averne: ha tutt'al più una "watchlist" dove annovera i progetti da tenere sotto osservazione, pari allo 0,3% sul totale degli impieghi.

È proprio la solidità del bilancio Bei, piuttosto che gli azionisti, a proteggere l'istituto dal rischio di declassamento. Persino i project bond, che potrebbero essere una nuova attività più rischiosa, verranno sempre ponderati per il rischio rispetto al capitale. La Bei è ben consapevole del fatto che la tripla "A" è meglio averla che non averla: garantisce un basso costo della raccolta che viene trasmesso, attraverso le banche, ai progetti finanziati e alle imprese, quindi va direttamente a beneficio della crescita e dell'economia reale.
La Bei fa e farà di tutto per conservare il rating "AAA". Ma in prospettiva questa preoccupazione la devono sentire gli Stati membri dell'Eurozona e dell'Unione europea, sono loro i primi responsabili della stabilità dei rating delle istituzioni sovrannazionali europee, la Ue ma soprattutto Efsf, Esm e Bei. Gli outlook negativi che gravano ancora su molti Stati europei dovranno essere trasformati in outlook prima stabili poi positivi per ambire alle promozioni dei rating. Un'Europa più unita è anche un'Europa che cresce e che non è oberata dai debiti.

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