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Questo articolo è stato pubblicato il 22 dicembre 2013 alle ore 08:38.
L'ultima modifica è del 22 dicembre 2013 alle ore 14:30.

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L'International Migrants Day si è svolto mercoledì scorso: anche nelle migrazioni internazionali le dinamiche Sud-Sud sono sempre più importanti, mostrando l'ingenuità, oltre che la malafede, di chi continua a sostenere che, in quelle che un tempo erano le periferie del mondo, tutti sognano solo di emigrare in Occidente per rubarci il posto di lavoro.
Juliana Deguis Pierre ha 29 anni ed è nata in Repubblica Domenicana da genitori haitiani, anche se non parla creolo. Ha sempre pensato di avere diritto alla nazionalità domenicana, ma il 23 settembre la Corte Costituzionale (in maniera non unanime) ha stabilito che essa non spetta a chi, come Juliana, sia figlio o discendente di immigrati illegali. Cioè a più di 200mila persone, tra cui una maggioranza che si ritrova improvvisamente apolide. Le devastazioni provocate dal tifone Hayan, invece, non ci hanno lasciato indifferenti, non fosse altro che perché in Europa è difficile trascorrere una giornata senza incontrare un filippino. Eppure è probabile che molti degli aiuti verranno dalla comunità pinoy radicata nei Paesi del Global South, per esempio negli Emirati dove si terrà la prossima Conferenza della Diaspora filippina. Oppure a Singapore, dove sono numerosissimi gli indiani come Sakthivel Kumaravelu, l'operaio la cui morte l'8 dicembre è stata la scintilla degli scontri che hanno messo sotto sopra Little India, nome poetico per i quartieri-dormitorio della città-stato.

Secondo le Nazioni Unite, le migrazioni Sud-Sud sono pressoché equivalenti a quelle Sud-Nord: nel 2010, 147 milioni di persone nate nel Sud vivevano al di fuori del proprio Paese, 74 nel Nord e 73 nel Sud (mentre le migrazioni Nord-Nord e Nord-Sud ammontavano rispettivamente a 53 e 13 milioni). Solo nel 2010 i migranti Sud-Nord sono diventati numericamente più consistenti che quelli Sud-Sud. Ben più della metà degli emigrati asiatici e africani si trova ancora nel rispettivo continente d'origine, dove la maggior parte degli immigrati è naturalmente della stessa origine geografica. Diverso il caso dell'emisfero occidentale, in cui, malgrado l'esempio domenicano-haitiano, oppure la rapida crescita dei flussi verso Argentina e Brasile, le migrazioni sono prevalentemente Sud-Nord.
Perché emigrare dal Sud al Sud? Sicuramente per fuggire a guerre e persecuzioni: dei quasi 16 milioni di rifugiati nel 2010, nove su dieci stavano nel Sud (afghani in Pakistan e Iran e flussi spesso complicati tra paesi dell'Africa dell'Ovest). Ma anche per fuggire alla povertà e cercare migliori opportunità economiche: lo "stock bilaterale" più ingente sono i più di 3 milioni di bengalesi in India, seguiti dalle centinaia di migliaia di africani del Sud e dell'Ovest in Sudafrica. In generale sono migranti meno istruiti rispetto a quelli che partono per il Nord, ma anche qui le cose stanno cambiando: basti pensare agli imprenditori cinesi in Africa e ai commercianti africani in Cina, oppure ai veri e propri talenti, che siano i calciatori brasiliani in Asia o gli scienziati russi in Messico. Non sono necessariamente numeri modesti: nel 2005, quasi un migrante qualificato su cinque si trovava nel Global South.

Sappiamo che le migrazioni Sud-Nord non sono buone solo per chi le effettua e, il più delle volte, per le comunità d'origine, ma anche per i Paesi di destinazione, che mitigano le carenze di manodopera e le demographic imbalances tra attivi e inattivi. E quelle Sud-Sud? Giovanni Facchini del Centro Luca d'Agliano e coautrici riscontrano che in Sudafrica gli effetti sono ambigui: a livello distrettuale l'aumento dell'immigrazione si traduce in meno occupazione autoctona, ma non una diminuzione del reddito complessivo dei nativi, laddove a livello nazionale la relazione è inversa.
In compenso a essere uguali sono le reazioni delle popolazioni locali, a Nord come a Sud. Citando il rischio che l'immigrazione metta in pericolo coesione sociale e benessere, è facile imporre misure restrittive e chiudere un occhio sulle discriminazioni. E questo è vero anche in zone, come l'Africa dell'Ovest, in cui la retorica dell'integrazione regionale è pane politico quotidiano. Tranne che le politiche d'integrazione sociale non sono adeguate, per lo scarso rilievo dato a protezione e promozione dei diritti dei migranti. Lentamente le cose progrediscono: per esempio in Marocco, dove una timida operazione di regolarizzazione è stata avviata qualche settimana fa.
Molta strada rimane da percorrere, ovunque, per concretizzare l'impegno sottoscritto nel 1990 con la firma della UN Convention on the Protection of the Rights of All Migrant Workers and Members of Their Families: speriamo che Babbo Natale porti conforto giuridico a Juliana e coloro che Mario Vargas Llosa ha definito los parias del Caribe.

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