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Questo articolo è stato pubblicato il 23 gennaio 2014 alle ore 08:05.
L'ultima modifica è del 23 gennaio 2014 alle ore 08:26.

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Il fuoco alle polveri lo ha dato, settimane fa, Goldman Sachs, lestissima a denunciare i rischi di una possibile fuga di Londra da Bruxelles. Ora è la volta dell'associazione bancaria (Bba) di Sua Maestà seguita, a un'incollatura, da un altro colosso come Citigroup. La lobby della City of London muove e spinge con forza, in un giorno che potrebbe essere storico per i destini delle relazioni fra Regno Unito e Unione europea. È di ieri, infatti, la notizia del "no" della Corte di giustizia al primo ricorso inglese - diritto dell'authority paneuropea Esma di mettere al bando le vendite allo scoperto - contro quello che la lente britannica vede come lo "strapotere" di Bruxelles.

Il monito di Goldman (le banche potrebbero considerare il disimpegno dal Miglio Quadrato in caso di Brexit dall'Ue) è stato cementato da quello di Citigroup che considera «drammatiche» le conseguenze di un affrancamento del Paese dal mercato unico, possibile esito ultimo di un "no" all'Europa nel referendum del 2017. Impoverimento diffuso con salari ridotti e sterlina debole, dunque. Parole che echeggiano quelle della British banking association che non si limita a tracciare il semplice profilo di quanto accadrà, ma incoraggia, con una nota inviata al Tesoro, il governo a cambiare marcia. A impegnarsi di più a Bruxelles, dedicando più risorse umane alle istituzioni comuni in cui Londra sarebbe sottorappresentata, se è vero che solo il 4,6% dello staff alla Commissione ha passaporto britannico, mentre il personale francese sfiora il 10 per cento.
Più Europa per avere meno Europa ? Il gioco di parole potrebbe essere anche questo, ma l'associazione bancaria non manca di notare, secondo quanto riporta il Financial Times che ha visto il documento inviato al Tesoro, i rischi della situazione. «Il mercato unico dei servizi (banking, insurance etc. etc, ndr) è elemento significativo del successo del Regno Unito come piazza finanziaria», scrive la Bba. Il timore è, quindi, che la conseguenza ultima di un "no" alla Ue porti all'uscita tout court dal single market. David Cameron non la vuole, ma il gioco è senza più regole e il finale aperto.

Così, mentre la City denuncia i rischi per "Londra piazza globale", mentre i banchieri chiedono più sforzi e più mezzi, da Bruxelles arrivano sassate. La decisione di riaffermare il primato dell'Esma sui regolatori nazionali per vietare, in casi estremi, lo short selling può essere il prologo a una serie di drammatiche sconfitte per Downing street. La sentenza pare enfatizzare il ruolo-chiave delle strutture comuni su quelle nazionali con un'intonazione che lascia immaginare l'arrivo di pronunciamenti simili sugli altri fronti aperti dalla Gran Bretagna: il tetto al bonus dei banchieri, la Tobin tax e soprattutto le scelte della Bce verso le clearing house.
Se dalla Corte giungeranno nuovi "niet", la partita di David Cameron per una rinegoziazione dei Trattati in vista del referendum si farà più complessa. Quella politica interna non lo è mai stata tanto quanto ora. Mentre i terminali riportavano il verdetto dei giudici Ue, Nigel Farage, leader dell'eurofobo Ukip annunciava il suo trionfo alle prossime elezioni europee con poche e chiare parole. «Questo verdetto sancisce l'impotenza del governo britannico. La City è nelle mani della Commissione europea». Retorica? All'ennesima potenza, ma mai come ora è musica alle orecchie di un popolo sempre più euroscettico.

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