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Questo articolo è stato pubblicato il 05 febbraio 2014 alle ore 08:16.

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È un momento molto delicato per la Banca centrale europea. Se interviene energicamente può evitare all'economia europea altri anni di depressione, ma al rischio di sospendere la strategia di aggiustamento strutturale nelle economie deboli e di esporsi a contestazioni politiche e legali distruttive. Se non interviene rischia invece di perdere il controllo sulle aspettative di inflazione e di lasciare nell'aria il fantasma della deflazione.

L'attesa per il consiglio della Bce di domani è molto alta dopo i dati sul nuovo calo dell'inflazione nell'euro area (0,7%). Entro marzo il livello dei prezzi dell'euro-area potrebbe scendere ancora. In quel mese la Bce dovrà formulare nuove previsioni annuali, sarà difficile escludere uno scenario in cui i prezzi non rimargano per almeno due anni ben al di sotto dell'obiettivo del 2%, rendendo precari i debiti nei paesi più deboli proprio quando dovrebbe essere applicato il fiscal compact, e ostacolando la convergenza economica tra centro e periferia. Finora la Bce ha interpretato la disinflazione come parte del processo di aggiustamento dei prezzi necessario a restituire competitività ai paesi della periferia. Ma il problema è che il dato tedesco (1,3%) è più basso del previsto, mentre quello italiano (0,6% contro una media euro dello 0,7%) è più alto del necessario.

Entrambi i dati dimostrano che l'aggiustamento nell'eurozona sta avvenendo troppo lentamente e al costo di una lunga depressione. Attraverso la sola strategia attuale di "forward guidance" (con la quale la Bce segnala di voler agevolare il credito anche in futuro) il rischio è che il 2%, l'obiettivo d'inflazione della Bce, perda capacità di orientamento delle aspettative di famiglie e imprese. Se queste vedono che la crescita economica langue e i prezzi scendono, adeguano le loro aspettative al rischio di deflazione che può così autorealizzarsi. È poi molto difficile cambiarne il corso. La Bce sottolinea di avere un ampio arsenale di strumenti per agire, ma a ben vedere pochi sono efficaci. I tassi sono talmente bassi (0,25%) che un'ulteriore riduzione avrebbe solo un significato segnaletico. Nuovi finanziamenti a lungo termine (LTRO "lunghi") non vengono assorbiti dalle banche che, preoccupate dagli stress test, stanno rimborsando quelli vecchi.

Tassi negativi sui depositi delle banche presso la Bce hanno controindicazioni. Resterebbe l'arma fondamentale dell'allentamento quantitativo, cioè l'acquisto di titoli pubblici o privati da parte della Bce. Il problema politico è che la Bce finirebbe per acquistare quelli dei paesi dove il credito è più difficile, cioè dei soli paesi indebitati della periferia. È ovvio che questo risolverebbe una volta per tutte l'instabilità finanziaria dell'eurozona. Ma le controindicazioni non sono da sottovalutare: anche se i motivi sono di funzionalità della politica monetaria, un allentamento quantitativo si espone al sospetto di "dominanza fiscale" cioè di far dipendere la politica monetaria dal livello dei debiti deciso dalle autorità fiscali. A quel punto si erode la credibilità delle banche centrali nel futuro contrasto dell'inflazione.

Questo solleverebbe obiezioni legali che la stessa Bce condivide, così come sembra ritenere poco realizzabili gli acquisti di titoli privati o di crediti subordinati delle banche. La Bundesbank arriva a temere che le aspettative di inflazione possano essere determinate in futuro dalla politica fiscale anche senza monetizzazione del debito (secondo la controversa teoria fiscale del livello dei prezzi). Infine c'è il tema dell'azzardo morale nel risanamento fiscale a cui si sono impegnati tutti i paesi. Sapendo che interverrà la Bce, nessuno si sentirà troppo vincolato al taglio dei debiti nè alle riforme strutturali. In pochi pensano che la Bce abbia la forza di costringere al default un paese troppo indebitato dopo averne acquistato i titoli. Ma sul lungo termine si porrebbe comunque un'alternativa tragica tra inflazione e default. Temendo l'allentamento quantitativo, la Bundesbank ha inviato nei giorni scorsi un messaggio sibillino sulla disponibilità a sostenere un ulteriore modo di allentamento del credito: la non-sterilizzazione degli acquisti di titoli pubblici già operati dalla Bce a favore dei paesi in crisi.

I titoli venivano acquistati, immettendo moneta in cambio che poi veniva ritirata (appunto "sterilizzata") con altre operazioni per lasciare stabile l'offerta di moneta che altrimenti aumenterebbe di 177 miliardi di euro. Un tale metodo avrebbe però poca efficacia e non sarebbe mirato a risolvere i problemi specifici dell'euro-area. Ma soprattutto si esporrebbe esattamente alle contestazioni che sono state sollevate di fronte alla Corte Costituzionale tedesca e che denunciano le operazioni della Bce come non rispondenti all'unico mandato della stabilità monetaria. Il grado di sfiducia a Francoforte è tale che si arriva a sospettare che il messaggio della Bundesbank sia un cavallo di Troia in vista della vicina sentenza di Karlsruhe. Le operazioni di sterilizzazione stanno per altro incontrando difficoltà, probabilmente dovute al fatto che le banche, impegnate a rafforzare il rapporto tra capitale e attività, non vogliono restituire liquidità in cambio di titoli. Una sospensione fino alla fine degli stress test sarebbe dunque sensata. Ma senza l'esplicito appoggio della Bundesbank non se ne farà nulla.

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