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Questo articolo è stato pubblicato il 01 marzo 2014 alle ore 08:17.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 13:53.

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Per i governi, il tasso di crescita che è ragionevole aspettarsi in futuro è questione cruciale.
Se il passato è di valido aiuto per pronosticare il domani, dobbiamo concludere che le prospettive sono deprimenti. Dal 2008 la crescita ha disatteso le aspettative di continuo. Tra i Paesi più colpiti dalla crisi solo pochi - Usa, Germania e Svezia - hanno riscoperto una crescita sostenuta. Anche per loro però nel 2013 il Pil si è mantenuto al di sotto dei livelli previsti.

L'opinione di economisti e policy-maker è che la crisi finanziaria e dell'euro abbiano nuociuto alla domanda e all'offerta, anche se è iniziato un processo di ristabilimento.
Sul versante della domanda, i postumi dell'indebitamento privato antecedente alla crisi e dell'indebitamento pubblico generato dalla crisi continuano a pesare sulla domanda interna. È probabile che il fenomeno durerà parecchi anni, anche se il suo peso si ridurrà. Poco alla volta i consumatori inizieranno a spendere e torneranno a investire (come negli Usa), e la politica fiscale tornerà neutra (come in Germania).

Sul versante dell'offerta, la crisi ha diminuito la crescita potenziale della produzione perché le aziende hanno investito meno e hanno ostacolato l'adozione di nuove tecnologie. E, in alcuni casi, le riduzioni dei salari e normative flessibili sui licenziamenti hanno incoraggiato le aziende a sostituire la manodopera col capitale, abbassando la produzione per lavoratore. Mercati del capitale intasati e resistenza a sacrifici collettivi hanno contribuito a ritardare l'avvicendarsi di aziende già presenti sul mercato con società più efficienti. Il risultato è stata una produttività inferiore alle aspettative: nel Regno Unito per produrre un medesimo articolo nel 2013 sono state necessarie molte più ore di lavoro a testa rispetto al 2007. Anche in questo caso l'effetto sul versante dell'offerta della crisi durerà fino a quando le aziende non investiranno in innovazione.

L'opinione secondo cui le economie avanzate si starebbero riprendendo, però, è messa in discussione da entrambi i lati. Iniziando dalla domanda, Larry Summers, dirigente di alto grado negli Usa sotto le presidenze di Clinton e Obama, ha suggerito che le economie avanzate si stiano ritrovando nella morsa di una stagnazione secolare.

È opinione di Summers che l'indebitamento di prima della crisi non fosse un'anomalia esogena, ma la conseguenza di una domanda globale insufficiente. La distribuzione globale del reddito è passata dalle classi medie dei Paesi avanzati alle economie ricche ed emergenti, determinando un'eccedenza di risparmio ovunque. L'unico modo di scongiurare la stagnazione consisteva nello spingere la classe media a indebitarsi maggiormente, con tassi di interesse bassi e normative tolleranti al riguardo dell'erogazione dei prestiti.

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