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Questo articolo è stato pubblicato il 01 marzo 2014 alle ore 08:17.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 13:53.

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È stata una lunga marcia quella dell'imprenditoria italiana per giungere ad acquisire piena legittimazione sociale, quale protagonista della modernizzazione del nostro Paese. Nel dopoguerra la Confindustria aveva dovuto infatti impegnarsi innanzitutto per vedersi riconosciuto il suo diritto di cittadinanza, contestato dai partiti di sinistra e messo in discussione inizialmente dalle autorità anglo-americane per motivi d'interesse. Fortunatamente Angelo Costa seppe stabilire sia un dialogo costruttivo con De Gasperi, sia un confronto con la Cgil di Di Vittorio improntato a un sagace realismo.

A questa sorta di "forza tranquilla" impersonata dall'industriale genovese, tornato nel 1966 alla presidenza di Confindustria, risale anche l'istituzione del Gruppo dei Giovani imprenditori, di cui Alberto Orioli ha rievocato l'itinerario con una ricca documentazione e un lucido equilibrio di giudizio.

Costa capì come fosse indispensabile evitare l'isolamento della Confindustria e imprimerle nuova vitalità, dopo il fallimento del tentativo misoneista dei suoi predecessori di bloccare il nuovo corso politico del centro-sinistra contrapponendogli un'eterogenea coalizione padronal-corporativa. Di qui, appunto, lo spazio d'iniziativa da lui accordato, pur tra certi sermoni paternalistici, a un drappello di "juniores", tenuto a battesimo da Lorenzo Vallarino Gancia e animato sia da propositi di rinnovamento di un vertice confindustriale fino ad allora arcigno e autoreferenziale, sia da un'aspirazione liberal-progressista di rendersi interprete delle istanze di cambiamento emergenti della società civile in seguito al "miracolo economico" e all'integrazione dell'Italia nella Comunità europea.

Questo Gruppo svolse perciò un ruolo di rilievo nell'assecondare, dapprima nel 1970, l'attuazione della "Riforma Pirelli", che portò a una sostanziale revisione del vecchio statuto confindustriale all'insegna di una maggiore rappresentatività, e successivamente nel patrocinare (con l'apporto della Fondazione Agnelli), un'apertura verso il mondo del lavoro per il superamento dei tradizionali schemi classisti in funzione di nuovi modelli di relazioni industriali.

Non è, beninteso, che l'azione dei Giovani imprenditori fosse, da un lato, esente da un certo "complesso della sinistra", dalla ricerca talora assillante di acquisire consensi su quel versante; e, dall'altro, da un rapporto a corrente alternata con lo stato maggiore della Confindustria. Tuttavia, durante la loro navigazione ancorché non priva di aspettative deluse e di battute d'arresto, essi giunsero a elaborare i tratti distintivi di una moderna cultura d'impresa, destinata a costituire un saldo asse di riferimento istituzionale e ad accrescere le credenziali dell'industrialismo nell'ambito della società italiana.
A tal fine risultò importante sia la connessione che (con la presidenza del Gruppo fra il 1978 e il 1982 del cattolico Luigi Abete) si stabilì fra il nucleo pionieristico di matrice laica e le altre componenti dell'associazionismo confindustriale giovanile, sia la crescente rilevanza assunta da un dinamico universo di piccole-medie imprese (messe in luce dal Censis di De Rita), i cui titolari provenivano per lo più dai ceti popolari e dalle aree emergenti del Nord-Est e del Centro-Sud.

Da questa duplice svolta riparte l'analisi puntuale, e altrettanto corredata dalle testimonianze dei principali attori (alcuni dei quali giunti a scalare le vette della Confindustria), degli obiettivi man mano perseguiti dai Giovani imprenditori lungo l'accidentato percorso politico dalla Prima alla Seconda Repubblica e quello non meno tormentato dell'economia italiana nell'Eurozona. Proprio per questo Orioli, nell'imminenza di un'altra riforma dell'organizzazione confederale, osserva giustamente, alla luce delle idee e capacità innovative di cui hanno dato prova anche le leve più recenti dei Giovani imprenditori, che essi sapranno ora affrontare le sfide per un rilancio del Paese.

Il volume di Alberto Orioli, Figli di papà a chi? Storia del movimento che ha cambiato la Confindustria, rievoca l'itinerario storico del Gruppo dei Giovani imprenditori di Confindustria con ricca documentazione dalla fondazione ai giorni nostri, attraverso i protagonisti e le storie.

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