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Questo articolo è stato pubblicato il 11 marzo 2014 alle ore 06:52.
L'ultima modifica è del 11 marzo 2014 alle ore 07:08.

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La stretta creditizia è un formidabile ostacolo sulla strada della ripresa. Il credito bancario verrà centellinato almeno fino alla conclusione dell'asset quality review. Aumentare la liquidità a disposizione delle imprese è quindi una priorità assoluta. Lo strumento più naturale e praticabile è il pagamento rapido dei debiti della Pa con un'emissione ad hoc di titoli di Stato.
A differenza delle imprese, in questo momento lo Stato ha accesso ai mercati a tassi contenuti. Imporre alle imprese di finanziarlo, ritardando i pagamenti loro dovuti, è una politica omicida delle imprese e suicida dello Stato che non può sopravvivere all'economia che governare. I debiti della Pa verso le imprese andrebbero perciò liquidati tutti e rapidamente. L'emissione di titoli di Stato non muterebbe lo stock effettivo totale di debito, solo la composizione: meno debiti verso le imprese e di più verso il mercato.
Nonostante l'ampio consenso sulla necessità di questa misura, siamo ancora lontani dall'obiettivo. Secondo i dati del Mef, al 26 febbraio si stima che siano stati pagati alle imprese 22,8 miliardi, poco meno di un quarto dello stock di debiti verso le imprese stimati dalla Banca d'Italia. Il Governo Renzi sembra intenzionato ad adottare una strategia più decisa. Ma perché abbia successo, è necessario capire cosa ha impedito di fare di più ai due precedenti Governi. Ci sono due ragioni.

La prima è il timore che l'emissione di debito spaventi i mercati e la Commissione Europea. Se si ripagassero altri 60 miliardi, si aggiungerebbero 4 punti percentuali al rapporto debito/Pil e questo salto potrebbe far alzare qualche sopracciglio. È un timore infondato. I mercati hanno da tempo scontato il debito verso le imprese e guardano, per valutare la solidità finanziaria dello Stato, al debito totale. Al contrario, potrebbero apprezzare il provvedimento perché contribuirebbe al rilancio dell'economia. Anche la legislazione comunitaria si è mossa in questo senso, con criteri contabili che dovrebbero includere direttamente i debiti verso le imprese nel conteggio del debito pubblico e una direttiva che fissa in 30 giorni i tempi entro i quali la Pa deve saldare le fatture - e rispetto alla quale l'Italia è a rischio di procedura di infrazione. La Commissione farebbe bene ad attenersi a questo orientamento e a evitare richiami che aggiungono solo confusione al dibattito. Quello recente del commissario agli affari economici Olli Rehn sembra ignorare che parte dell'aumento di debito registrato nel corso del 2013 è proprio dovuto ai 23 miliardi di pagamenti effettuati. Serve una strategia coerente: non si può da una parte aprire procedure per i ritardi dei pagamenti e dall'altra lamentarsi se, quando si paga, cresce il debito pubblico contabilizzato (ma non quello economicamente rilevante). I piani che prevedono l'intervento della Cassa Depositi e Prestiti rispondono a questo timore. Francamente, sembrano operazioni di ingegneria finanziaria di cui non vi è necessità. È preferibile un'emissione diretta di debito, concordata a livello comunitario e coerente con le regole contabili europee.

La seconda ragione per cui finora il rimborso ha riguardato solo parte dei debiti commerciali è di natura organizzativa. La Pa non dispone dell'elenco di questi debiti a livello accentrato. L'informazione è detenuta dalle singole amministrazioni e viene recuperata con difficoltà anche per cautelarsi contro la possibilità che "falsi creditori" approfittino di un pagamento generalizzato per farsi liquidare somme non dovute. Non abbiamo dati per valutare la rilevanza di questo secondo problema rispetto al primo. Mentre il primo è un ostacolo di natura politica, superabile se si vuole farlo, il secondo è un ostacolo oggettivo: difficile pagare senza conoscere i propri debiti. Un primo tentativo del Governo Monti di ottenere queste informazioni fallì per un difetto nel disegno: le amministrazioni che dovevano segnalare e certificare i crediti non avevano (e non hanno) incentivo a farlo. Per censire i debiti meglio rivolgersi a chi ha interesse a farli emergere: le imprese stesse. Basterebbe predisporre un sito web gestito dal Mef dove le imprese creditrici possono caricare i titoli di credito che vantano verso la Pa. Per evitare false fatture, il Mef dovrebbe girare le richieste di pagamento alle singole amministrazioni, concedendo un termine perentorio, diciamo di 15 giorni, entro il quale l'amministrazione può contestare (motivandola) la richiesta. Trascorso il termine senza contestazione, il Mef procederebbe alla liquidazione del credito, rivalendosi sull'amministrazione debitrice attraverso compensazioni di trasferimenti futuri. In questo modo, gli incentivi sono allineati: diversamente dalle amministrazioni debitrici, le imprese hanno tutto l'interesse a comunicare i pagamenti dovuti. Allo stesso tempo, le amministrazioni hanno l'incentivo a contestare richieste fraudolente, del cui pagamento dovrebbero poi rispondere se non effettuano la contestazione entro i termini stabiliti.

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