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Questo articolo è stato pubblicato il 14 marzo 2014 alle ore 06:48.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 14:09.

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No, non è la Bbc, questa è la Rai, la Rai tv. E' tempo di ridiscutere e rifondare i servizi pubblici, in Italia come in Gran Bretagna. Entro maggio 2016 andrà rinnovata la concessione nazionale per il servizio pubblico radiotelevisivo - che non potrà più chiamarsi così ma "media di servizio pubblico", come suggerito nel 2012 dal Consiglio d'Europa. Alla fine dello stesso anno scade la Royal Charter della Bbc.

Oltremanica, il direttore generale della Bbc, Tony Hall, ha varato un piano per ulteriori cento milioni di sterline rispetto a quello iniziale di 700 milioni (837 milioni di euro) di minori spese sino al 2016. Il suo discorso all'Oxford Media Convention è difficilmente replicabile da un'altra tv pubblica europea: «Ogni cittadino di questo paese che abbia un televisore, una radio, un Pc o un terminale mobile ha il miglior posto a sedere per vedere le Olimpiadi, una poltrona in platea per ascoltare i grandi concerti, un biglietto per godersi i migliori drammi in teatro». Grazie alla Bbc, che raggiunge ogni settimana il 96% della popolazione per sei ore al giorno, in media, con le piattaforme dov'è presente. «Ogni ora costa a un cittadino britannico tre pence per avere programmi senza pubblicità», precisa Hall. Il Governo conservatore, però, ha congelato il canone dall'aprile 2010 a fine 2016 e, in più, ha azzerato il finanziamento statale al Bbc World Service (245 milioni di sterline l'anno), che la Corporation pubblica dovrà finanziare dal 2015 con il canone.

«La Bbc non potrà rimanere la stessa», aggiunge il suo direttore generale. Per la prima volta nella sua storia il vertice della Bbc propone la chiusura, nell'autunno 2015, di un canale televisivo. E' Bbc Three, lanciato per il pubblico giovane nel 2003. Verrebbe trasferito sul Web con un risparmio di 50 milioni di sterline annue, 30 delle quali saranno investite nella fiction di Bbc One. La decisione è soggetta alla decisione del Bbc Trust, che ha annunciato una consultazione pubblica e ha già evitato, nel 2010, la chiusura del canale radiofonico pubblico 6 Music.
In un'intervista di Giovanni Minoli per Radio 24, Daniele Doglio, professione di economia dei media alla Cattolica di Milano, commenta così la "mossa" della Bbc: «E' come chiudere uno dei canali Rai. Ed è a rischio anche il BBC Four: il Quattro, il canale culturale che alcuni ex presidenti chiedono di fondere con BBC Two. Il che dimostra che si può fare tranquillamente servizio pubblico anche con pochi canali».

Il confronto Rai-Bbc è da effettuare con molte precisazioni: i due sistemi nazionali sono differenti, ancor più le rispettive culture televisive e produttive. In Italia trasmettono 78 canali nazionali (per 24 ore o per qualche ora al giorno) sul digitale terrestre, di cui sei in Alta Definizione e due che sono replicano i programmi di un'emittente un'ora dopo. Nel Regno Unito i canali sono 59 di cui cinque in HD e sette "time shifted". La Rai ha 17 canali, compresi tre in HD, la Bbc 11: in realtà quelli "unici" sono 14 della Rai e otto della Bbc. Il canone britannico è pari a 174 euro rispetto ai 113,5 di quello italiano. Le risorse della Bbc sono pari allo 0,4% del Pil nazionale rispetto allo 0,17% della Rai, penalizzata dall'evasione al 27% contro il 4-5% britannico. I dipendenti sono circa 23mila per la Bbc e 13mila per la Rai, tempi determinati inclusi.
Nel luglio 2015 scade l'attuale vertice (a meno che Luigi Gubitosi non scelga in anticipo di andare in un'altra società pubblica). Rinnovarlo con le attuali norme é difficile: il Pd vi ha già rinunciato una volta; per Beppe Grillo sarebbe la ciliegina sulla torta. Il 2016 è, in altre parole, l'ultima occasione, per la politica, di intervenire sull'assetto del sistema televisivo proprio mentre i tre principali operatori costruiscono, ogni giorno che passa, una "ragnatela" di accordi reciproci.

La vera partita, in Italia, non è tanto quella del numero dei canali Rai quanto il perimetro dell'azienda e quello della sua informazione, con i privati alle porte del canone. Quando Carlo Cottarelli ipotizza di chiudere le sedi regionali della Rai, non solo deve ricollocare circa 660 giornalisti e cambiare la legge che le prevede, ma potrebbe togliere qualsiasi ruolo alla Testata giornalistica regionale a favore delle emittenti locali. Le quali sono in una fase di profonda crisi, accresciuta da un passaggio al digitale attuato tutto a vantaggio delle emittenti nazionali.
Il sindacato dei giornalisti lancia la sfida a Governo e Parlamento: «Siamo pronti a discutere l'organizzazione aziendale, il numero delle reti e l'assetto dell'informazione, a patto che non si riduca e anche il canone - sottolinea Vittorio Di Trapani, segretario dell'Usigrai - se, al tavolo trilaterale al quale abbiamo inviato azienda e istituzioni, vengano garantite alla Rai il rinnovo quale concessionario pubblico, una riforma della governance - il Governo non può essere l'azionista - e le risorse necessarie. Il canone può diventare una tassa di scopo progressiva sul reddito. In tempi di banda larga e di consumo orizzontale, la domanda è: quale prodotto deve fare il servizio pubblico? Non quante reti deve avere».
Lo scontro politico è partito in sordina, intorno al parere che la Vigilanza deve rilasciare sul contratto di servizio triennale 2013-2015. A partire dal bollino da apporre ai programmi finanziati dal canone, ritenuto da molti osservatori il viatico prima a una divisione e poi a una privatizzazione della Rai. Altri vorrebbero la vendita di RaiWay, ovvero della rete di ripetitori: ma gli operatori privati sono tutti integrati verticalmente con la propria rete e Mediaset ha creato nel 2012 EI Tower, accorpando le torri di Elettronica Industriale e del gruppo DMT.

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