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Questo articolo è stato pubblicato il 22 marzo 2014 alle ore 09:32.
L'ultima modifica è del 22 marzo 2014 alle ore 09:59.

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Non c'è governo, nell'ultimo triennio, che non si sia occupato del taglio degli stipendi dei manager pubblici. L'argomento è popolare e i risparmi, di questi tempi, graditi. Il problema è che anche le resistenze sono tante. E così i furori iniziali si disperdono, tra gli annunci e risultati, nel dedalo delle norme e dei provvedimenti attuativi.
Renzi ora ci riprova. E fa bene. Ma perché questa sia la volta buona bisogna evitare gli errori del passato e rifuggire dalle tentazioni del populismo che in questa materia possono fare danni molto seri.

È allora bene non rinunciare all'intelligenza delle distinzioni. Ci sono società che per evidenti ragioni di mercato non possono essere incluse in tetti troppo stringenti. Su questo Moretti ha ragione da vendere. L'Italia ha pagato fin troppo in questi anni alla demagogia per cui «uno è uguale a uno». Quando sei chiamato a guidare società che operano su mercati complessi e da cui dipendono le sorti di migliaia di famiglie uno non è uno. Serve il migliore. E quel migliore va pagato adeguatamente. Ovviamente - ma purtroppo spesso è stato tutt'altro che ovvio - se poi il migliore non si dimostra tale, va sostituito alla scadenza del primo mandato (senza "recuperi" in altre aziende pubbliche).
Renzi su questo punto farebbe bene ad essere chiaro. E a uscire dalla schematicità (inservibile) della distinzione tra quotate, non quotate e non quotate che emettono bond. Va individuata, sulla base di criteri il più possibile oggettivi, una lista nominativa delle società strategiche di primissima fascia per le quali il tetto alle retribuzioni può essere superato. Dopodiché per tutte le altre i vincoli devono essere stringenti e, soprattutto, non aggirabili.

Troppi manager e dirigenti, spesso anche non di primissima linea, guadagnano cifre del tutto ingiustificate per il ruolo svolto. A cominciare dalle 7mila società locali controllate dai Comuni. È una realtà che Renzi conosce bene. Ed è fatta di una moltiplicazione clientelare di incarichi e di stipendi. Questi sì fuori da ogni legittimità, con retribuzioni elevate che non trovano alcun riscontro nelle responsabilità esercitate.
Eppoi quanti manager e dirigenti pubblici moltiplicano ancora i compensi con la moltiplicazione degli incarichi? Norme di vario livello e variamente annunciate non sono riuscite a scoraggiare i recordmen che collezionano incarichi da amministratore delegato, presidente, consigliere, dirigente di prima fascia, dividendosi spesso tra società controllate e infischiandosene di ogni conflitto di interesse. Il caso Mastrapasqua era eclatante. Ma è tutt'altro che unico (anche tra i dirigenti di recente nomina governativa).
È qui, nella capacità di bonificare questa palude che prolifera tra politica, economia protetta e cordate più o meno oscure, che si vedrà la capacità di incidere di Renzi. Tutto il resto il premier lo lasci ai demagoghi che fanno molti proclami e nessun fatto.

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