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Questo articolo è stato pubblicato il 01 aprile 2014 alle ore 07:02.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 14:53.

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Mette radici anche in Italia l'età dell'imprenditorialità contraddistinta dalle start up innovative fiorite su terreni di cultura transdisciplinari. Padroneggiano le tecnologie emergenti e favoriscono il mix tra innovazione tecnologica ed eccellenza manifatturiera. Come nel caso della partnership tra Google e Luxottica per la nuova generazione dei Google Glass.

Secondo le stime di Infocamere, lo scorso marzo avevano raggiunto quota 1.792 le società - costituende o già costituite da non oltre 48 mesi - aventi come obiettivo sociale esclusivo o prevalente "lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico". Erano 307 a marzo 2013. Poco più del 30% delle start up innovative sono nate in Lombardia ed Emilia-Romagna, mentre l'insieme delle tre grandi regioni del Sud (Campania, Puglia e Sicilia) si ferma al 12,3%.

Con il potenziale di crescita al lumicino, l'economia italiana ha fame di risorse che facciano uscire la produttività dallo stato di prostrazione in cui è caduta da troppo tempo. Le start up innovative che corrono lungo i campi delle nanotecnologie, della scienza dei materiali, dell'Ict e della biologia stanno creando il potenziale per una terza rivoluzione industriale: quella che utilizzerà le risorse in modo più produttivo di quanto facciamo oggi, dando così libero sfogo a una forte crescita economica. Delle 1.792 imprese nel registro Infocamere, 536 producono software ed erogano servizi di consulenza informatica; 312 svolgono attività di ricerca & sviluppo. È tra queste che dovrebbero spuntare i cavalli di razza in corsa su quei campi. Nel campo del software le start up sono chiamate ad appoggiare la manifattura nella grande sfida di integrare le tecnologie digitali nelle sue attrezzature tradizionali. Nel campo della R&S si allungano i tempi di attesa dei risultati creativi. Per seminare capitali di rischio nel campo della ricerca ci vogliono investitori pazienti.

Dopo un lungo inverno tra crisi e stagnazione, il premier Renzi promette una primavera di energia che dia ottimismo. L'energia non è altro che lo spirito imprenditoriale la cui assenza, scriveva Keynes nel suo Trattato sulla moneta, rende vano ogni alleggerimento monetario e, aggiungiamo noi, del peso fiscale. Ma la scalata al paradiso della crescita oltre all'energia richiede anche vigile osservazione. Tanto più vigile quanto più l'imprenditorialità innovativa affonda le sue radici nell'incertezza. Una conoscenza incerta delle nascenti start up e di quelle baby che non vuol dire semplicemente distinguere ciò che non si sa per certo da ciò che è solamente probabile, mancando una base scientifica su cui fondare qualsiasi calcolo probabilistico. Infatti, l'imprenditorialità innovativa è una convinzione irragionevole che poggia su prove insufficienti. A questo enigma si aggiunge un dilemma. Senza sacrificare nascita e decollo delle start up innovative, quanto l'azione del governo dovrebbe sostenere le nostre imprese manifatturiere che mietono successi sui mercati globali e premono il piede sull'acceleratore delle innovazioni incrementali?

Trovare il giusto mix di politiche e incentivi per l'imprenditorialità vincente di oggi e per quella che, si spera, lo sarà domani è certamente un compito arduo. Dal passato anche recente abbiamo appreso dure lezioni sugli incentivi che producono risultati controversi e contestati. Alle start up innovative vanno offerti incentivi che siano selettivi; che incoraggino a tentare ancora in caso di fallimento; che siano indirizzati non ai costi, a monte, bensì ai risultati prodotti a valle; che non premino i business plan le cui proiezioni di cash flow hanno fondamenta poggiate su un terreno sabbioso, ma che promuovano, come sostengono i venture capitalist, gli esperimenti a cavallo dell'obiettività presunta e dello zelo imprenditoriale.

piero.formica@gmail.com
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