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Questo articolo è stato pubblicato il 14 aprile 2014 alle ore 08:05.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 15:09.

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Dopo una maratona di negoziati di ben sedici ore conclusasi il 20 marzo scorso, politici, tecnocrati e giornalisti erano tutti pronti a definire l'accordo sull'ultima fase della creazione dell'unione bancaria europea un successo. Ma le apparenze ingannano. Anche se presto l'"unione bancaria" esisterà sulla carta, da un punto di vista pratico il sistema bancario dell'Eurozona rischia di restare frammentato lungo linee nazionali e diviso tra un "centro" settentrionale, dove i governi continuano a sostenere le banche locali, e una "periferia" meridionale, dove i governi sono ormai al verde.

Facciamo un salto indietro al giugno del 2012. Le banche spagnole finite in bancarotta minacciano di trascinare con sé lo Stato iberico, come quelle d'Irlanda avevano fatto con lo Stato irlandese diciotto mesi prima, mentre il panico travolge l'Eurozona. I leader dell'Unione europea decidono di spezzare il legame tra banche deboli e governi a corto di liquidità: un'unione bancaria europea sposterebbe la responsabilità della gestione dei fallimenti bancari sull'Eurozona, un po' come succede in America, dove le banche in difficoltà, per esempio della Florida, sono gestite da autorità federali che hanno il potere di attingere ai capitali degli obbligazionisti, iniettare fondi federali e chiudere istituzioni finanziarie.

Un mese dopo, però, la Bce interviene per sedare il panico. Quest'azione salva l'euro, ma allenta anche la pressione sulla Germania per cedere il controllo delle sue banche, spesso in difficoltà. Da allora, il governo tedesco ha usato la sua influenza per svuotare l'unione bancaria proposta; ciò che ne resta è una mera facciata per salvare le apparenze.
Innanzitutto, l'unione bancaria europea non si applicherà alle enormi perdite subite durante la crisi attuale. La Bce sorveglierà direttamente le maggiori banche dell'Eurozona a partire da novembre (la prima fase del l'unione bancaria), mentre ora sta valutando la solidità del loro bilancio. Se, e sottolineo se, questo processo sarà condotto in maniera corretta, le banche sottocapitalizzate che godono di buona salute sarebbero costrette a racimolare capitale aggiuntivo, se necessario prelevandolo dagli obbligazionisti, mentre quelle malate verrebbero gradualmente liquidate.

Ma i regolamenti comunitari in materia di risoluzione delle banche nazionali non saranno in vigore per allora, mentre il meccanismo unico di risoluzione dell'Eurozona sarà attivato solo nel 2015. Quindi le banche dell'Europa settentrionale, che sono ancora sostenute da governi solvibili, riceverebbero un trattamento diverso da quello riservato agli istituti a corto di liquidità dell'Europa meridionale: in altre parole, la Germania può permettersi di salvare le proprie banche, l'Italia no.

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