Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 04 maggio 2014 alle ore 08:20.
L'ultima modifica è del 04 maggio 2014 alle ore 14:45.

My24

Nonostante il recente miglioramento in alcuni Stati membri, l'economia dell'eurozona è ancora in fase di stasi con un tasso di crescita del Prodotto interno lordo che quest'anno dovrebbe essere di poco superiore all'1 per cento. Persino in Germania il tasso di crescita è inferiore al 2 per cento, mentre il Pil continua a scendere in Francia, Italia e Spagna e questo lento tasso di crescita ha mantenuto il tasso globale di disoccupazione a un dolente 12 per cento.
Una crescita lenta e l'elevata disoccupazione non sono gli unici problemi dell'eurozona. Il tasso annuo di inflazione di soltanto 0,5 per cento è così vicino allo zero che il minimo shock potrebbe farlo diventare negativo, innescando una spirale di calo dei prezzi. La deflazione indebolirebbe la domanda aggregata alzando il valore reale (adattato all'inflazione) del debito di famiglie e imprese e aumentando i tassi di interesse reali. Un calo della domanda potrebbe a sua volta provocare un'accelerazione del crollo dei prezzi in un avvitamento pericoloso.

Le panacee in economia sono poche, quando ce ne sono, ma una diminuzione netta nel tasso di cambio dell'euro, diciamo del 15 per cento, porrebbe rimedio a molti degli attuali problemi economici dell'eurozona. Un euro più debole farebbe aumentare i costi delle importazioni e i prezzi potenziali delle esportazioni, portando così a un incremento del tasso di inflazione in tutta l'eurozona. La svalutazione inoltre stimolerebbe la crescita del Pil medio dell'eurozona incentivando le esportazioni e incoraggiando gli europei a sostituire con beni e servizi prodotti internamente i beni importati. Anche se la competitività all'interno dell'eurozona non verrebbe toccata, un euro più debole farebbe aumentare significativamente la bilancia commerciale con il resto del mondo, ovvero la metà circa del commercio dell'eurozona.
Il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, ha sottolineato il suo timore che il rialzo dell'euro negli ultimi tre anni abbia aumentato il rischio di deflazione. Ma se la sua famosa dichiarazione del luglio 2012 che la Banca centrale europea avrebbe fatto «tutto il necessario a preservare l'euro» è riuscita a ridurre i tassi di interesse nei Paesi in crisi della periferia dell'eurozona, ha contribuito anche alla forza attuale dell'euro.

Oggi né le recenti affermazioni di Mario Draghi né la prospettiva di un programma in stile americano di acquisto di titoli su vasta scala (anche noto come allentamento monetario) hanno fatto indebolire l'euro o regredire il tasso di inflazione all'obiettivo del 2 per cento. Così la questione operativa che si pone è come diminuire il valore relativo dell'euro mantenendo quella percezione di stabilità che Draghi ha contribuito a creare nel 2012.
Poiché la Banca centrale europea ha propugnato l'allentamento monetario come un modo per indebolire l'euro, è bene capire qual è stato l'impatto di tale politica da parte della Federal Reserve sul valore del dollaro e sul tasso di inflazione negli Stati Uniti.
La risposta è che l'impatto è stato insignificante su entrambi i fronti. Il valore effettivo del dollaro con ponderazione sul commercio estero è allo stesso livello del 2007, prima dell'inizio della Grande recessione: è aumentato brevemente con il picco della crisi, nel 2008, quando gli investitori globali cercavano un porto sicuro negli asset in dollari, ma nel 2009 è tornato ai livelli precedenti. Il valore del dollaro poi è rimasto relativamente stabile durante i tre anni e più di allentamento monetario ed è di fatto aumentato nel corso del 2013, quando gli acquisti di bond della Fed hanno raggiunto il culmine di oltre mille miliardi di dollari.

Ovviamente ci sono anche altri fattori che hanno influenzato il valore del dollaro in quel periodo. Tuttavia, il comportamento del tasso di cambio del dollaro nel periodo di allentamento monetario non giustifica la politica suggerita di acquisto di titoli su vasta scala da parte della Banca centrale europea per arrivare a un deprezzamento dell'euro.
L'allentamento monetario della Federal Reserve non ha portato a un aumento del tasso di inflazione. L'indice dei prezzi al consumo è aumentato dell'1,6 per cento nel 2010, all'inizio dell'allentamento monetario, nel 2011 e 2012 è aumentato più velocemente per poi scendere a un mero +1,5 per cento nel 2013, l'anno in cui l'acquisto di bond è giunto all'apice.
Se la Bce vuole ridurre il valore dell'euro e aumentare il tasso di inflazione a breve termine, l'unico modo per farlo è un intervento diretto nel mercato valutario, ovvero vendere euro e acquistare un paniere di altre monete. Se un intervento diretto per indebolire l'euro rappresenterebbe una sfida per altre parti del mondo, negli Stati Uniti come altrove i politici dovrebbero riconoscere l'importanza di un euro più competitivo per il futuro dell'economia europea.

(Traduzione di Francesca Novajra)
© Project Syndicate, 2014

Commenta la notizia

Shopping24

Dai nostri archivi