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Questo articolo è stato pubblicato il 26 maggio 2014 alle ore 06:45.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 15:42.

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Ancora cinque giorni e si chiuderanno le consultazioni aperte dal Governo il 30 aprile per conoscere le proposte dei dipendenti sul volto futuro della pubblica amministrazione. Dopodiché il ministro della Pubblica amministrazione, Marianna Madia, si metterà al lavoro per dare forma – sulla base dei punti programmatici presentati a fine aprile insieme al premier Matteo Renzi e alla luce dei suggerimenti arrivati (al 22 maggio erano state ricevute 23mila mail) – al provvedimento di riforma della burocrazia da approvare in Consiglio dei ministri il 13 giugno.

Il Governo ha parlato sin dall'inizio di "rivoluzione", tant'è che l'indirizzo mail a cui si possono inviare consigli e riflessioni è, appunto, rivoluzione@governo.it. Di "rivoluzione necessaria" parlano anche le conclusioni dell'indagine condotta da Forum Pa sul pubblico impiego che verrà presentata domani a Roma nel corso dell'apertura della 25a edizione della manifestazione (si vedano anche le pagine 28 e 29 di questo numero del Sole).
«Ascoltando quotidianamente i protagonisti, pubblici e privati, sentiamo – si sottolinea nel documento – che siamo a un passo dal definitivo arrendersi. Non c'è più tempo da perdere. Se la riforma Renzi-Madia sarà la svolta che serve, lo vedremo. Certo è di una profonda rivoluzione che abbiamo bisogno».
È quella che altri Paesi, come la Francia e la Gran Bretagna, hanno messo in campo prendendo le mosse dalla crisi economica, che ha indotto un profondo ripensamento del settore pubblico. In Italia, invece, il dissesto dei conti ha portato la burocrazia «ad un sostanziale arroccamento delle posizioni, in una sorta di catenaccio – si sostiene nella ricerca – teso da una parte a difendere il più possibile lo status quo, dall'altra a raggiungere comunque, con lo stesso apparato organizzativo e con tagli più o meno lineari, il massimo dei risparmi possibili».

Ciò ha voluto dire blocco delle assunzioni, con conseguente innalzamento dell'età media di chi rimane in servizio, riduzione dei dipendenti, tagli alla formazione, scarsissima mobilità, riduzione dei contratti a tempo determinato. Di contro, chi aveva privilegi acquisiti ha fatto di tutto per non perderli (specie tra i dirigenti) e la frammentazione degli uffici e la cattiva distribuzione geografica dei dipendenti non è arretrata di un passo.
Un quadro, insomma, «disastroso», che non regge il confronto con quello di Francia e Gran Bretagna. C'è solo un elemento che gioca a nostro favore: il numero complessivo dei dipendenti. Considerando anche i contratti non stabili, gli addetti al pubblico impiego sono 3,3 milioni, con una diminuzione negli ultimi anni del 4,8. per cento. Quelli inglesi sono 5,7 milioni (la riduzione è, però, stata dell'11%), mentre in Francia sono addirittura cresciuti di quasi 5mila unità, assestandosi sui 5,5 milioni.

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