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Questo articolo è stato pubblicato il 27 maggio 2014 alle ore 12:15.
L'ultima modifica è del 27 maggio 2014 alle ore 17:05.
Non è un voto su Matteo Renzi, ma è un voto sull'Italia. Forte di un indubitabile (personale) mandato elettorale, il premier sceglie le parole giuste per riconoscere ai suoi concittadini il merito, altrettanto indubitabile, di avere salvato l'Europa e l'euro e l'orgoglio di averlo fatto con l'intelligenza (politica) di chiedere una nuova Europa e di volerla cambiare in profondità, ma fuori dai populismi distruttivi, nel solco (nobile) tracciato dai Padri fondatori.
Con queste parole e il richiamo alla foto del Nazareno («Non c'è un leader solo, in Italia si può cambiare»), Renzi ha mostrato di cogliere il senso (profondo) della speranza «più forte di tutte le paure» che si leva dal Paese. C'è un doppio mandato a cambiare, in casa e in Europa, da far tremare i polsi, ma la bellezza di quest'Italia uscita dal voto è che il mandato poggia su un dato storico (il Pd oltre il 40%) e certifica la capacità degli italiani di guardarsi dentro, nei momenti difficili, e prendersi le proprie responsabilità.
Domenica 27 aprile («La forza di Renzi e la speranza italiana da non sprecare») avevamo scritto: «Il premier ha la credibilità, la determinazione, l'intuito e le energie per colmare il vuoto della (buona) politica che ha condannato l'Italia da troppo tempo al declino, ma non gli basterà essere il risultato del semi-fallimento dei tanti che lo hanno preceduto o l'alternativa alle molte demagogie che rimbalzano di piazza in piazza». Lo ripetiamo oggi con animo sollevato e la ferma determinazione di non fare mancare al premier e alla sua squadra il pungolo e le critiche (costruttive) che appartengono ai cromosomi di questo giornale ed esprimono la consapevolezza della pesantezza dei problemi con cui la sua azione di governo e la volontà di cambiamento in Europa dovranno, giocoforza, misurarsi. Oggi Renzi ha l'occasione (irripetibile) di capitalizzare il suo talento politico senza rinunciare al piglio decisionista, anzi accentuandolo, ma coniugandolo con una capacità effettiva di ascolto delle forze sane di questo Paese (ci sono) e con un gioco di squadra che si misuri con la complessità dei problemi e le competenze necessarie per affrontarli e risolverli.
La doppia partita (italiana e europea) si vince o si perde passando di qui, le prime dichiarazioni del premier ne rivelano piena coscienza e lasciano, quindi, ben sperare. Proceda con intelligenza politica e cultura del risultato sul terreno (decisivo) delle riforme costituzionali, istituzionali e elettorali per uscire (bene) dal bicameralismo perfetto e fare dell'Italia (finalmente) un Paese normale dove si scopre la sera del voto chi ci governerà. Non indugi sul lavoro dove si è fatto un pezzo importante, ma se ne deve fare un altro ancora più rilevante sui contratti a tempo indeterminato e sulla flessibilità in uscita. Trovi il coraggio di ridurre il perimetro dello Stato, di riformare la giustizia e cambiare la macchina pubblica affermando, forse per la prima volta, reali criteri meritocratici e recuperando, per questa via, quelle risorse indispensabili per allentare il morso della pressione fiscale e contributiva su datori di lavoro e lavoratori. Rimetta in corsa l'Italia dentro quel sentiero (obbligato) di cambiamento che ci legittima a costruire, insieme con i Paesi fondatori, il cambiamento del Vecchio Continente ritrovando lo spirito solidale di Helmut Kohl («Voglio una Germania europea, non un'Europa germanica») che chiuda le cicatrici della storia e consegni al mondo globalizzato gli Stati Uniti d'Europa.
Pensare che le basi concrete di tutto ciò possano essere gettate nel semestre europeo di presidenza italiana, in casa nostra, proprio dove si firmò il fondativo Trattato di Roma, apre scenari di (grande) ambizione al limite del temerario, ma proprio per questo da perseguire con determinazione assoluta, realismo politico e capacità tecniche. Quando nacque il Governo Renzi titolammo «Da De Gasperi a Beautiful con la speranza di essere clamorosamente smentiti». Dopo i primi mesi di governo, il risultato dell'urna, la consapevolezza e la determinazione di essere una squadra emerse il giorno dopo, possiamo dire con piacere di essere stati, in parte, smentiti e tornare ad avvisare che è ancora lungo, molto lungo, il cammino per passare da De Gasperi a De Gasperi, ma questa, non altre, è la strada che la politica italiana (tutta) deve essere capace di percorrere.
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