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Questo articolo è stato pubblicato il 13 giugno 2014 alle ore 06:38.
L'ultima modifica è del 13 giugno 2014 alle ore 06:56.

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Gentile Cerretelli,
non passa giorno in Italia senza qualche nuovo caso di corruzione, che coinvolge uomini della destra come della sinistra, del Nord Italia come del Sud Italia. Mi chiedo a volte come gli altri cittadini europei ci vedano, che considerazione hanno di noi. E poi vorrei sapere da Lei che conosce bene l'Europa e i singoli Stati che la compongono se c'è un Paese dove le regole anti-corruzione vigenti sono davvero efficaci e dissuadono dal malaffare. Forse l'Italia potrebbe partire da un modello normativo che funziona per crearne uno tutto nostro, non dimenticando mai che noi italiani siamo professionisti della corruzione.
Lettera firmata
Caro lettore,
lei tocca un nervo scoperto del nostro sistema Paese. Non è che negli altri Paesi non esista la corruzione: purtroppo la corruzione è consustanziata nell'uomo, nei sistemi democratici come nelle dittature. Solo che altrove, in Europa e nel mondo, quando viene scoperta viene perseguita e pesantemente condannata non solo nelle aule di tribunale ma anche e soprattutto nella società che repelle e marginalizza i corrotti. In Italia no. Non solo il senso dello Stato e dell'etica pubblica è molto debole ma i corrotti e i corruttori, condannati o no, spesso (come conferma la cronaca recente) tornano a esercitare il loro mestiere al servizio degli stessi "padroni" senza che nessuno se ne scandalizzi. In una situazione del genere dove la corruzione fa parte del costume prevalente, le leggi servono a poco. Ci vorrebbero corsi intensivi e accelerati di rieducazione ai valori del viver civile, del rispetto reciproco a cominciare da quello tra Stato e cittadino. Impresa ciclopica, investimento di anni. C'è davvero in giro chi vuole impegnarsi sul serio, retorica a parte?
Un passo avanti
Angela Merkel ha incontrato Mario Draghi e pare aver messo all'angolo l'austerity, dando il suo sostegno alla Bce. Il colloquio di Berlino tra il governatore dell'Eurotower, fresco di annuncio del taglio dei tassi e delle nuove iniezioni di liquidità, e la cancelliera, potrebbe segnare una svolta: più sostegno alla crescita. Se dal vocabolario della leader tedesca sparisce il richiamo al rigore di bilancio, possiamo desumere un supporto alle politiche della Bce e un'apertura alle richieste di Renzi. Dal colloquio di Berlino potrebbe spuntare una nuova alba anche per il nostro Paese.
Franco Pace
Napoli
Io, giovane impiegata al Gse
Sono una giovane impiegata al Gse (Gestore dei servizi energetici), società a totale partecipazione statale con sede a Roma che si occupa di incentivare lo sviluppo delle fonti rinnovabili in Italia. Il Gse è il secondo operatore nazionale per energia intermediata. Per 63 giovani colleghi (tutti under 30) non sta avvenendo il rinnovo dei contratti di inserimento in scadenza, la cui naturale evoluzione sarebbe stato il contratto a tempo indeterminato, e ogni giorno si assiste all'uscita di alcuni di loro dall'azienda dopo almeno 18 mesi (senza contare i precedenti periodi di stage o di contratti a progetto) di impegno e di lavoro senza che qualcuno abbia provveduto a informarli di quel che sarebbe accaduto, negando loro la possibilità di organizzarsi. Tutto questo accadde - così dice l'azienda - per l'approvazione del decreto Irpef-Spending review che chiede alle società partecipate o controllate, direttamente o indirettamente, dallo Stato di ridurre nel biennio 2014-2015 i costi operativi. Il Gse ha pensato di fare con la scelta più facile. Perché il management aziendale non ha cercato forme alternative per ridurre i costi e valorizzare i giovani e il loro entusiasmi di fare? E la mia considerazione amara, amarissima è che in Italia si riducono gli sprechi sempre alle spalle dei più deboli.
Sofia Clerici
Aveva ragione de Gaulle
Verso la fine degli anni Cinquanta Indro Montanelli incontrò più volte il generale Charles de Gaulle nel suo ritiro di Colombey-les-Deux Eglises. Ho letto che in una di quelle occasioni il generale De Gaulle, parlando del nostro Paese, disse: «L'Italia non è un Paese povero: è un povero Paese». Da italiano trovo la frase sprezzante e inaccettabile. Però, visto quello che è successo da Tangentopoli al Mose, mi viene da pensare che forse, il generale, avesse qualche ragione.
Silvano da Porretta
Milano




Contro i corrotti corsi di rieducazione al bene comune

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