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Questo articolo è stato pubblicato il 19 giugno 2014 alle ore 08:24.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 08:38.

In una lettera inviata nel 1953 alla mitica rivista «Civiltà del le macchine», Giuseppe Ungaretti articolava le sue preoccupazioni intorno alle conseguenze dell'elettronica che allora faceva sentire i suoi primi vagiti.

Gli elaboratori, suggeriva Giuseppe Ungaretti, sono destinati a diventare talmente potenti da superare l'immaginazione umana. E quando avverrà, diceva, gli uomini saranno tentati di imparare a pensare come i computer: a meno che non sappiano fare un grande salto di qualità culturale ed etico.
Oggi è una preoccupazione diffusa. La storia accelerata dalla tecnologia sembra correre tanto veloce da anticipare persino la più spericolata fantascienza. Di certo, la capacità umana di generare strumenti "intelligenti" sembra superiore alla capacità umana di comprenderne le conseguenze. Il che, come è già accaduto in passato, nei grandi momenti di rivoluzione culturale, genera inquietudini e sfide intellettuali di prima grandezza. Di fronte alle quali, ieri, si sono trovate le ragazze e i ragazzi che hanno affrontato la prima prova della maturità.
Tra le tracce proposte per lo svolgimento del tema c'erano due ritagli d'umore nuvoloso che riguardavano il transumanismo e la robotica, pubblicati dall'Espresso e dal Corriere della Sera, un brano postmitologico di Psiche e tecne del filosofo Umberto Galimberti e l'estratto di un più solare intervento della professoressa Dianora Bardi, innovatrice della didattica, pubblicato da Nòva del Sole 24 Ore. L'analisi del tono di voce di quei quattro brani mostra che le preoccupazioni sulla tecnologia sono inversamente proporzionali all'attenzione professionale che gli autori coltivano con i giovani, i principali soggetti, spesso entusiastici, della trasformazione culturale generata dalla pervasività delle tecnologie.

Il timore che l'entusiasmo dei superutenti di tecnologie sfoci nell'ingenuità o sia minato dall'inconsapevolezza, forse, sottende alcune delle tracce proposte, sicuramente pensate per indurre alla riflessione. L'idea - elaborata intorno a un libro di Roberto Manzocco, a sua volta autore di Nòva - che la medicina aumentata dal digitale possa condurre a una nuova tappa dell'evoluzione e allo sviluppo di una nuova specie transumana può avere affascinato qualche studente. Altri si saranno posti qualche domanda sulla possibilità di indirizzare strategicamente la produzione di robot in modo che non sostituiscano gli umani. O si saranno goduti le parole suggestive di Galimberti sul tempo progettuale e il congedo dagli dèi. Ma è probabile che molti studenti si siano riconosciuti nelle parole della Bardi: che osservava la diffusione delle tecnologie nelle scuole, le grandi aspettative di miglioramento didattico connesse all'innovazione, le gigantesche opportunità di riprogettazione dell'esperienza scolastica per adattarla alle sfide della contemporaneità.

Certo, anche l'idea di progresso sta cambiando in quest'epoca di grande trasformazione. Le visioni e le intuizioni che tentano di interpretarla sono preziose. Ed è però necessario che si incarnino nell'innovazione fondamentale, quella che si dedica alla formazione.
Questione decisiva: per sviluppare una società consapevole dei rischi che si corrono se ci si limita a usare la tecnologia senza comprenderla e, soprattutto, per alimentare di idee una popolazione che sappia essere protagonista dell'innovazione, che sappia riconoscere le gigantesche possibilità che il presente offre a chi sia pronto a vederle e a coglierle. Occorre il salto di qualità culturale ed educativo immaginato da Ungaretti. La scuola è chiamata a svolgere un compito essenziale. Ieri ha risposto.

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