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Questo articolo è stato pubblicato il 19 giugno 2014 alle ore 06:38.

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In questi prossimi il governo si appresta a presentare i primi provvedimenti attuativi della delega fiscale. A differenza del passato - si pensi a quanto accadde nel 1971, con la relazione di Cesare Cosciani (condivisa dalla maggior parte dei professiori universitari di diritto tributario) che servì al governo come piattaforma per la predisposizione del testo della riforma - la legge delega è frutto delle proposte delle commissioni finanze parlamentari. Scelte di carattere principalmente empirico sorrette da principi garantisti, bilanciati da proposte di origine governativa ispirate a una politica tributaria d'interesse generale (accertamento, evasione, sanzioni ecc.). Lo stile della delega non è omogeneo, non c'è sistematicità.
L'attuazione della delega è compito eminentemente del governo che deve formulare i decreti con valutazioni discrezionali non potendo limitarsi a una "scansione meramente linguistica". La rispondenza dei decreti alla legge delega è un problema interpretativo dei rispettivi oggetti e di rispondenza ai principi generali dell'ordinamento.
I decreti previsti sono non pochi e riguardano tutti i settori dell'ordinamento. Si sono pertanto posti i problemi delle precedenze e dei tempi. I soggetti interessati sono non pochi, prima di tutto il governo e il parlamento, le associazioni imprenditoriali e professionali, per cui le tendenze interpretative sono tante. Ma la competenza è esclusivamente del governo.
Secondo la legge il Parlamento può intervenire solo quando «gli schemi dei decreti legislativi, corredati di relazione tecnica sono trasmessi alle Camere ai fini della espressione dei pareri da parte delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari» (articolo 1, comma 5). Sicché non si coglie in pieno il ruolo del "comitato ristretto informale" delle commissioni Finanze di Camera e Senato al quale il governo intende inviare i testi dei decreti legislativi prima dell'approvazione in consiglio dei ministri, un organismo non previsto dalla legge e che potrebbe creare complicazioni politiche.
Servirebbe però una base teorica che indichi le strade da seguire, nel rispetto delle competenze, che fornisca sia una valutazione complessiva (una specie di atto d'indirizzo) sia un'indicazione strategica, in ordine alle precedenze e ai tempi di approvazione dei decreti. Nella preparazione di queste indicazioni il governo dovrebbe servirsi dei propri uffici legislativi e chiedere il contributo della dottrina che potrebbe esprimersi in una o più commissioni a seconda della materia e delle loro connessioni. È un'indicazione quest'ultima che non è obbligatoria ma neppure vietata, bensì solo opportuna.
Se, come si auspica, dalla riforma deve uscire un "sistema", ogni tema deve trovare il suo tempo di attuazione. Le priorità sono implicite nella visione strategica.
Questa mia indicazione può sembrare poco realistica, soprattutto dal punto di vista dei tempi. Il problema è quello generale della riforma. Alla quale servirebbe un programma sorretto da valutazioni giuridiche meditate anche con il concorso della dottrina che è la prima sede dalla quale possono nascere le indicazioni non facili su temi come la semplificazione. In questo caso, a esempio, la legge delega prevede:
a) la tendenziale uniformità della disciplina riguardante le obbligazioni tributarie (siamo di fronte alla proposta di una codificazione); b) il coordinamento e la semplificazione delle discipline concernenti gli obblighi contabili e dichiarativi dei contribuenti; c) la coerenza e la tendenziale uniformità dei poteri in materia tributaria, anche attraverso la definizione di una disciplina unitaria degli atti dell'amministrazione finanziaria e dei contribuenti (articolo 1, comma 1).
Si invoca una disciplina "tendenzialmente" unitaria, un concetto vago che richiede una preparazione giuridica che abbia solide radici dottrinali. I diversi profili prospettano temi che non possono essere separati soprattutto se si pensa di fare qualcosa di stabile legato a una riconsiderazione della preparazione della nostra amministrazione. Giustamente si pensa che la riforma passi attraverso la rifondazione del ministero delle Finanze, separando la parte fiscale da quella economica. La semplificazione non può essere ridotta alla dichiarazione predisposta e al catasto anche se quello del catasto sembra l'unico tema che può essere affrontato autonomamente.
L'approvazione dei decreti in ordine casuale e con l'accordo di un organismo atipico che lede la competenza esclusiva del Governo rischia di non essere l'avvio credibile di una riforma che, fra l'altro, potrebbe anche essere solo parziale, se su una parte dei decreti non si raggiungesse l'accordo politico.
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