Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 30 giugno 2014 alle ore 08:07.
L'ultima modifica è del 30 giugno 2014 alle ore 08:31.

My24

A due velocità: avanza così l'e-government in Italia. Progredisce rapidamente sotto la spinta di norme cogenti - come nel caso dell'amministrazione trasparente -, altrimenti si procede al ralenti. È quanto accade per l'e-procurement, il riuso delle soluzioni software, i pagamenti elettronici, l'open government, alcune colonne portanti dell'Agenda digitale.

A certificare la "doppia andatura" è la quarta edizione dell'Osservatorio eGovernment, realizzato dalla School of management del Politecnico di Milano, che giovedì verrà presentato presso l'Agenzia per l'Italia digitale. Un quadro interessante.
Nell'ultimo anno quasi due enti su tre hanno sviluppato progetti di innovazione, ma è un muoversi a zig-zag tra impegni virtuosi e assenza di un piano strategico che fissi con chiarezza e rigore scadenze e obiettivi. Sarà forse per questo motivo che quasi un ente su due dichiara che la formalizzazione delle procedure d'acquisto di beni e servizi Ict è molto bassa e solo nel 20% dei casi si utilizza un programma a supporto dei flussi documentali. La situazione non migliora nei pagamenti multicanale. Quasi un cittadino su quattro ha effettuato un pagamento elettronico, prevalentemente per imposte, tasse e sanzioni. Sul fronte opposto, il 72% degli enti locali non si è ancora attivato in questo senso, probabilmente perché manca un obbligo di legge che costringa ad accettare la moneta digitale. E come sottolinea Giuliano Noci, responsabile scientifico dell'Osservatorio, «buona parte della Pa dichiara di avere sviluppato progetti d'innovazione nell'ultimo anno e quando l'intervento prevede l'uso di strumenti normativi coercitivi l'uniformità e la rapidità d'implementazione delle misure aumentano. È il caso, appunto, dell'amministrazione trasparente, realizzata o in fase di realizzazione in quasi l'80% dei Comuni».

Altri mattoni della digitalizzazione, invece, faticano a diffondersi, «spesso per la mancanza di risorse umane, di know how e di fondi», aggiunge Michele Benedetti, responsabile della ricerca. Da registrare che meno di un Comune su tre è riuscito a portare a termine il 75% dei progetti gestiti nell'ultimo triennio. Ad aggravare il quadro c'è il problema di reperire i fondi necessari per mantenere in esercizio le piattaforme digitali. Le conseguenze? Le applicazioni senza aggiornamenti e manutenzione rischiamo di diventare obsolete e inutili. Resta, poi, il nodo del coordinamento delle politiche di e-government (la maggioranza dei Comuni indica nelle Regioni il soggetto che dovrebbe svolgere questo ruolo).
Esiste una possibile via d'uscita? Sì, e a costo zero, come indicato nella stessa Agenda digitale. È la ricetta del riuso del software, una "vecchia" idea, visto che il primo embrione risale a una legge del 2000 e il Decreto sviluppo nel 2012 l'ha reso obbligatorio. L'avvio, per ora, pare un po' stentato. Solo il 2% degli enti ha inserito le proprie soluzioni nel catalogo, mentre il 16% ha sperimentato il riuso. «È un processo che avanza lentamente perché, per esempio, i Comuni sono poco strutturati e fanno fatica a trasferire le conoscenze ad altri enti - sottolinea Benedetti -. Ma chi ha scelto questa via si dichiara soddisfatto, in primis per i risparmi ottenuti».

Commenta la notizia

Shopping24

Dai nostri archivi