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Questo articolo è stato pubblicato il 30 giugno 2014 alle ore 08:08.
L'ultima modifica è del 30 giugno 2014 alle ore 08:29.

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La via maestra per rendere competitivo il sistema universitario del Sud è una politica del merito senza compromessi, che valorizzi le eccellenze e attragga i migliori talenti. Tutte le azioni debbono essere guidate da processi di valutazione, attraverso un monitoraggio continuo dei risultati scientifici e didattici. Quindi valutare per competere. Siamo tutti d'accordo e lo stiamo mettendo in pratica.

Ma i dati debbono essere maneggiati con cura per evitare che un eccesso di semplificazione impedisca agli addetti ai lavori e soprattutto agli studenti di leggere i reali punti di forza e di debolezza dei singoli atenei. L'esercizio di sintesi che si compie nel redigere classifiche inevitabilmente filtra e condensa alcune informazioni e può condurre a conclusioni approssimative.
Se facciamo riferimento alla Federico II, la prima cosa che viene in mente è vedere il posizionamento dell'ateneo nelle principali classifiche internazionali, facilmente accessibili sul web. Si tratta di modelli consolidati negli anni, da "QS Word University Ranking" a "Webometrics", che misurano l'eccellenza scientifica dei nostri ricercatori e la reputazione dei nostri laureati. Ci accorgiamo che il nostro ateneo è sempre nelle prime dieci posizioni tra le università italiane e in alcuni settori specifici nei primissimi posti.
Quando confrontiamo questi dati con i risultati della classifica del Sole 24 Ore, pubblicata il 23 giugno, che ci posiziona oltre la 50esima posizione, ci viene da pensare che si stanno misurando cose diverse e probabilmente è così.

Per una corretta lettura occorre fare una premessa di metodo: molti dei parametri presi in considerazione dal Sole 24 Ore sono indicatori di contesto, che prescindono dalla qualità dell'università in senso stretto, ma risentono delle condizioni di crisi economica che sta vivendo soprattutto il Mezzogiorno con alti livelli di disoccupazione e scarsa possibilità di fare investimenti. Non è un caso che tutti gli atenei del Sud siano nella parte bassa della classifica. Del resto, anche l'ultimo rapporto Anvur mostra che esiste un divario di prestazioni, ma soprattutto di risorse finanziarie.
Ci sono fattori evidenti che penalizzano le università del Sud. Per esempio, al Nord il 100% degli studenti idonei ottiene la borsa di studio, qui il 25% perché i fondi regionali e statali non sono sufficienti a fronteggiare un numero molto più elevato di aventi diritto. Lo stesso ragionamento vale per i livelli di impiego a un anno dalla laurea: al Nord è più facile trovare lavoro, qui il tasso di disoccupazione giovanile è tre volte più alto. Anche il giudizio sui dottorati: non riguarda la qualità alla Federico II, peraltro definita eccellente dall'Anvur, ma il numero di borse di studio finanziate dal bilancio dell'ateneo che dipende dalle risorse a disposizione. Abbiamo, poi, maggiori difficoltà nell'attivare gli stage a causa del ridotto numero di imprese attive: è un'altra conseguenza della crisi.

Per tenere conto del contesto socio-economico, la ricerca dovrebbe considerare alcuni fattori di normalizzazione per offrire un quadro più realistico: il livello di investimento che viene fatto per studente, includendo trasferimenti e tasse, il Pil e il tasso di disoccupazione giovanile nelle regioni di riferimento.
Noi abbiamo molto da fare. Stiamo lavorando duramente su qualità ed efficienza della ricerca e della didattica con politiche di rigore. Ma per fare tutto questo c'è bisogno di risorse finanziarie. E la politica dei tagli non ci aiuta, anzi ci ha fortemente penalizzato negli ultimi anni.
Queste considerazioni non vogliono mettere in discussione il principio della valutazione, che deve essere strumento per il miglioramento delle performance. Ma è necessario che, da un lato, si tenga conto delle differenze di contesto e, dall'altro, pervengano le risorse indispensabili per attuare politiche di sviluppo. Altrimenti, il messaggio che si dà agli studenti meridionali è di andare via tutti. Una sconfitta non solo delle nostre università, ma del Paese.
Rettore Università di Napoli Federico II

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