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Questo articolo è stato pubblicato il 10 luglio 2014 alle ore 06:45.
L'ultima modifica è del 10 luglio 2014 alle ore 07:09.

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In teoria è tutto previsto e definito da regole, concessioni e bandi studiati appositamente per evitare raggiri. E soprattutto per estromettere dal mercato le mele marce e contrastare la criminalità organizzata. In pratica un'inchiesta del Sole 24 Ore dimostra però che le regole sono troppo spesso raggirate e la presenza della criminalità organizzata è data per scontata dagli stessi operatori del settore. Oltre che essere ripetutamente confermata dai fatti.

L'ultimo fatto è stata la sentenza di condanna a un totale di 300 anni emessa dal Tribunale di Palermo il 26 maggio scorso contro esponenti del clan mafioso della Noce dalla quale è emerso che l'agenzia BetuniQ al civico 12° di via Libero Grassi a Palermo era controllata da un signore che è stato condannato a 10 anni di carcere per associazione mafiosa.
Si tratta di una sentenza non definitiva, ma il contesto ricostruito dai giudici non può essere certamente ignorato.
Combattere la criminalità, soprattutto quella organizzata, ovviamente è difficile. Ma almeno in teoria il gioco illegale dovrebbe essere meno difficile da contrastare rispetto ad attività come il traffico di droga (che tra l'altro genera proventi simili, e cioè 20/25 miliardi all'anno). Per un motivo molto semplice: come detto, avviene per lo più alla luce del sole e con la consapevolezza di (quasi) tutti. Anche dei Monopoli. Tant'è che lo stesso direttore per i giochi Roberto Fanelli nell'intervista al Sole 24 Ore (si veda articolo in pagina) ha ammesso che, pur combattendo «quotidianamente» i siti inibiti, «non riusciamo più di tanto a contrastarli».
«In Puglia a fronte di 700 punti di gioco legali ce ne sono 750 illegali», ha denunciato qualche mese fa Massimo Passamonti, presidente di Confindustria Sistema Gioco Italia. E non si riferiva a bische clandestine nascoste in qualche scantinato. Parlava di punti scommesse con tanto di insegne al neon.

Pur essendo un settore iper-regolamentato, la realtà è che aggirare le regole sembra un... gioco da ragazzi. Il proprietario di una società che ha partecipato a una gara utilizzando una fidejussione risultata falsa è per esempio tuttora libero di continuare a operare nel settore attraverso una società diversa. Ci riferiamo a Luca Gagni, azionista di Tuke Srl e di Agile Spa. In seguito a un esposto di un concorrente, i Monopoli hanno appurato che Tuke aveva utilizzato un documento bancario falso per partecipare a una gara per il gioco online e hanno denunciato il fatto alla Procura e revocato la concessione. Ma Gagni può tranquillamente continuare a operare nel settore grazie alla concessione di un'altra società di cui è azionista, Agile Spa.

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