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Questo articolo è stato pubblicato il 10 luglio 2014 alle ore 06:45.
L'ultima modifica è del 10 luglio 2014 alle ore 07:09.
Si chiama Mario Gennaro, ha 38 anni ed è nato e risiede a Reggio Calabria. I protagonisti del mondo delle scommesse online lo conoscono bene. Nonostante, formalmente, in Italia non abbia alcuna attività. Tant'è che il suo nome non appare in nessuna visura camerale.
Dalla sua pagina su Linkedin si apprende però che è direttore generale di BetuniQ, catena di punti-scommesse. E negli ultimi anni da Malta, dove ha sede, Betuniq si è focalizzata proprio su Reggio Calabria, aprendo oltre 36 negozi in città. In particolare in quartieri ad alto tasso di penetrazione della 'ndrangheta come quello di Santa Caterina.
La cosa non ha affatto sorpreso gli addetti ai lavori.
Gennaro nella sua vita è stato più volte oggetto di attenzione da parte dei magistrati per i suoi rapporti con membri della 'ndrina dei Tegano. Ad esempio in un'ordinanza di custodia cautelare si legge: "Mario Gennaro, unitamente ad altri, quale partecipe dell'articolazione territoriale dell'associazione di tipo mafioso ed armata risultano stabilmente dediti alla gestione e alla cura degli affari illeciti della cosca Tegano".
Con Gennaro che opera da dietro le quinte, Bet Uniq va alla grande. Secondo i dati resi noti dall'agenzia specializzata Agimeg, con un totale di 330 negozi concentrati nella provincia di Reggio Calabria ma sparsi in tutto il Sud Italia, nel 2013 ha raccolto 225 milioni. La cosa singolare è che lo ha fatto senza una sola concessione dello Stato. Anzi, Bet Uniq è inclusa nella blacklist dei "siti inibiti" redatta dall'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli.
L'inibizione è però solo a parole. Perché grazie a una licenza maltese e a piattaforme di gioco online gli oltre trecento negozi di BetuniQ operano alla luce del sole. Italiani sono i suoi frequentatori, e italiani i soldi da loro spesi. A non essere italiana è solo l'imposta sul reddito pagata da BetuniQ. Quella è maltese. La catena BetuniQ non paga neppure l'imposta unica sulle scommesse. Perché, come ci ha spiegato il portavoce dei Monopoli, «i punti di raccolta non autorizzati sono irregolari e nessuno di questi paga nulla allo Stato italiano. E dal momento che i soggetti in questione sono irregolari e non censiti da alcuna banca dati, l'imposta viene recuperata esclusivamente a seguito di accertamento fiscale». Nel caso specifico delle catene BetuniQ, Monopoli ci dicono che in nessuna delle due procedure di accertamento completate nel 2013 l'imposta risultava essere pagata.
Ma quella di BetuniQ non è affatto un'anomalia. Nel corso degli ultimi 15 mesi, i Monopoli hanno effettuato circa 3mila controlli equivalenti. E nella loro blacklist ci sono altri 4.385 siti teoricamente inibiti. Ma il problema del settore del gioco d'azzardo è proprio questo: la teoria troppo spesso non corrisponde alla pratica. O alla realtà.
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