Notizie ItaliaLe poltrone cui guardano i mercati
Le poltrone cui guardano i mercati
di Isabella Bufacchi | 10 gennaio 2015
Le elezioni del presidente della Repubblica in passato non hanno elettrizzato i mercati. Sono di solito altre le poltrone che scottano per investitori e traders.
L'Italia non è una repubblica presidenziale e il via vai di questo o quel leader politico, di questo o quel premier a colloquio al Quirinale non è stato centrale per le scelte di investimento, finanziarie e non, nel nostro Paese. Per lungo tempo. Non ricordo una domanda una negli anni passati, rivoltami in tono concitato da un trader o uno strategist o un equity portfolio manager che riguardasse il nostro capo dello Stato.
Tutto questo fino a Giorgio Napolitano. O meglio, fino all'intervento determinante, anche agli occhi dei mercati, di Napolitano in due delicatissimi snodi del rischio-Italia: il ruolo svolto dal Presidente nell'allontanare l'Italia dall'orlo del baratro alla fine del 2011 (con la fine del Governo Berlusconi e l'inizio del Governo Monti) e poi ancora nel traghettare l'Italia fuori dall'impasse politico in cui era caduta dopo le elezioni del febbraio 2013 (aprendo alla sua seconda candidatura).
Napolitano visto dai mercati finanziari è sinonimo di stabilità politica. La sua uscita inevitabilmente riaccende sui monitor dei traders una luce sul rischio di instabilità politica. E quando la politica rallenta il passo, anche i tempi del cammino delle riforme si allungano: e questo sarebbe l'effetto più deleterio per i mercati di uno stallo sull'elezione del successore di Napolitano.
Unicredit, in una nota diramata alla sua clientela istituzionale, ha rassicurato: «Le dimissioni di Napolitano difficilmente porteranno all'instabilità politica e al deragliamento dal processo delle riforme». E questo messaggio, in diverse sfumature ma con la stessa sostanza, lo stanno diramando i desk Italia delle grandi banche internazionali. La partita che giocherà Matteo Renzi per la nomina del prossimo capo dello Stato è molto impegnativa, e sarà seguita da vicino dai mercati perché darà elementi di valutazione importanti per misurare la forza del premier, all'interno del Pd e nei confronti dell'opposizione: tuttavia l'uscita di scena di Napolitano non sta avendo una portata destabilizzante al punto da annullare l'effetto-Draghi e del sovereign QE sui BTp e più in generale sul rischio-Italia.
Sgombrato il campo dal timore che Mario Draghi potesse lui “salire al Colle” per restarvi(in quel caso le ripercussioni sui mercati sarebbero state destabilizzanti per il futuro dell'euro ma rassicuranti per il futuro dell'Italia), più che per il Quirinale i mercati si appassionano su un altro giro di poltrone, quello all'interno del ministero dell'Economia e delle Finanze e all'interno di Palazzo Chigi. Chi investe in Italia è molto più interessato all'identikit del ministro dell'Economia e poi a scendere del direttore generale del Tesoro (che ha le mani in pasta sulle privatizzazioni e sul debito pubblico), del chief economist al Mef (responsabile per una grossa fetta dei numeri e dei pronostici che caratterizzano il rischio-Italia), del ragioniere generale dello Stato (che ha in mano i conti pubblici).
Dove invece i mercati si perdono è nella duplicazione dei ruoli e delle responsabilità, una specialità molto italiana. Non capiscono bene fino a che punto pesino nei grandi giochi i personaggi che popolano le “cabine di regia” e i ministeri ombra che si aprono e chiudono a Palazzo Chigi. Le domande in tono concitato le ricordo, ma erano concentrate sugli advisor economici del premier Renzi.