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Cultura-Domenica Libri

Io eTondelli, «due appartati e schivi»

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Questo articolo è stato pubblicato il 23 maggio 2010 alle ore 19:09.

In diritto civile si definisce erede «colui che sia chiamato a succedere nella universalità dei beni o in una quota di essi» ed è quindi paradossale discutere di Pier Vittorio Tondelli «erede di Alberto Arbasino» visto che l'autore di Altri libertini se ne è andato nel '91 e, al contrario, Arbasino è assolutamente «alive and kicking». Ma è stato lui stesso a definire Tondelli suo erede durante la bella serata per gli 80 anni al teatro Franco Parenti di Milano e la presentazione dei due Meridiani e non capita spesso che questo scrittore così «dry» e attento quando parla di sé e dei contemporanei si lasci andare ad affermazioni del genere, quindi l'occasione va presa al volo.

Anzitutto chiarire quale sia la «parte» d'eredità, che cosa li avvicina. «Ci avvicinava» dice Arbasino, «il progetto del romanzo di formazione (Bildung)». Qui il legame è indubbiamente forte: Tondelli, pur venuto fuori dall'ambiente bolognese anni '70 del Dams, dunque più Paz che Praz, per Altri libertini, come dichiarò egli stesso, attinse a quello che considerava il libro più bello di Arbasino, L'Anonimo lombardo, sicuramente Bildung. Ma le affinità sono tante anche con Fratelli d'Italia: lo spirito on-the-road, lo stile «parlato» e al presente (niente passato remoto da traduttori), la presa di distanza dal neorealismo, la voglia di raccontare e catalogare la società che cambia... E l'autobahn per il Nord, l'entusiasmo per le partenze e le partouze, il libertinaggio non solo culturale.

E a proposito di quest'ultimo tema: Altri libertini, uscito nel gennaio 1980 da Feltrinelli e infarcito, tra termini più aulici e colti, di bestemmie ed esplicite descrizioni di rapporti etero e non etero (soprattutto), subì il blocco della tiratura (la terza) su richiesta del procuratore dell'Aquila Donato Massimo Bartolomei («Per il suo contenuto luridamente blasfemo»), anche se poi fu assolto. I Bildungsroman di Arbasino non furono toccati dal demone censorio nonostante diverse scene «forti», a partire dal racconto Giorgio contro Luciano delle Piccole vacanze, e malgrado i tempi in cui uscirono: a cavallo tra gli anni '50 e '60. Come ha fatto a evitare la mannaia democristiana molto attiva all'epoca? «Non ho fatto niente di speciale» dice Arbasino. «Ho evitato i 'titillamenti'. Nell'Anonimo lombardo sono più interessanti le note auliche, perché contrappuntano ironicamente una vicenda epistolare».

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Si potrebbe vedere nell'immediata fama e nell'effetto smuovi-classifica generati dal processo ad Altri libertini un elemento di novità rispetto a censure molto più dolorose del passato ma Arbasino smentisce: «I 'casi' eccitano i media, e le 'provocazioni' animano il mercato. E' una costante, una regola. L'anima del commercio, dicevano i vecchi». A proposito di censure, questa volta critiche e non penali: c'è la questione delle bestemmie tolte dall'edizione di Altri libertini nelle Opere (Bompiani), o meglio sostituite da innocui quanto improbabili «Perdio», insomma della revisione in chiave religiosa di Tondelli secondo le sue ultime volontà. Arbasino evita di entrare nella polemica: «Non ho seguito l'argomento».

Meglio tornare al tempo più felice del primo Tondelli, l'alba degli anni '80, decennio rispetto al quale ha fatto da apripista e spartiacque (dopo il caso isolato di Boccalone di Palandri, secondo Antonio Franchini, editor di Mondadori, Tondelli, insieme a De Carlo è il primo scrittore generazionale italiano). Ma che faceva Arbasino negli anni '80? Come li ha vissuti? Come li ricorda? «Negli anni '80 ho fatto il deputato (nel partito Repubblicano), lavorando a tempo pieno» spiega. «Quindi ricordo soprattutto Montecitorio. Libri di impegno civile e poi viaggi. Memorie di mostre e concerti eccellenti, in giro per l'Europa». L'Arbasino anni '80 è quello di Un paese senza, che liquida tutto l'universo tossicodipendenza, molto florido in letteratura e così presente in Altri libertini, con una divertentissima battuta, chiedendosi: se i rocker maledetti ostentano l'uso di droghe per comporre cose non eccelse, allora Mozart che cosa mai avrebbe dovuto prendere: «un jet nel culo»?

Gli anni '80 vedono un più forte impegno di Arbasino nel giornalismo, dimensione che non era certo estranea a Tondelli, entrambi sono «Kulturkritiker». Negli anni '90, post-Tondelli, Arbasino sembra distaccarsi sempre di più dagli scrittori contemporanei: «I miei amici sono diventati delle fondazioni», è la sua famosa frase; e morta lì. Pasolini, Flaiano, Parise, Calvino e Testori se sono andati. L'interesse per la nuova narrativa italiana scompare. Non è una perdita per la generazione «che ha letto tutto»? Qualche curiosità la prova almeno per i «casi editoriali» recenti, quelli su cui cade inevitabilmente il discorso, chessò Saviano? Magari in aeroporto, per «tuer le temps» al duty-free, una sfogliata a Camilleri almeno gliel'ha data... «Mi ritengo un professionista» dice Arbasino, «dunque dovrei applicare tariffe professionali (come ogni avvocato e medico) per ogni 'visita'. Però manca il tempo, per il 'super-lavoro'. E manca la voglia di fare i vecchietti che in giubbotto e berrettino vanno in discoteca a ballare il rock». E qui viene fuori lo spiritaccio di Arbasino, quel distacco, quella «sprezzatura», che lo hanno fatto definire da Walter Pedullà «Lo scrittore più intelligente del '900 italiano».

Di certo in queste caratteristiche intellettuali (e intellettive) sta il segreto della straordinaria longevità letteraria di Arbasino. Mi rendo conto l'espressione «segreto della longevità» fa molto Luciano Onder... «Forse c'entra un qualche perfezionismo 'classico' (o maniacale)» dice lui. «Nella musica leggera, tanti 'miti' anziani sono 'in concert' tuttora».

Tondelli e Arbasino vengono da cittadine di provincia: rispettivamente Correggio e Voghera, Emilia e Lombardia ma sempre «bassa». La Voghera di Arbasino compare nelle Piccole vacanze e poi scompare, almeno in narrativa, per Tondelli il legame col territorio è più forte: Correggio da cui scappare e dove tornare... Arbasino, di famiglia più agiata, si emancipa fin da subito dalle origini di una provincia vicina a Milano ma pur sempre provincia, giovane reduce da anni di clausure per la guerra, il fascismo, viaggia moltissimo (come Tondelli), si trasferisce prima a Milano e poi a Roma... Che legame ha ancora con Voghera, dove è nato nel 1930, in via Mazzini, dunque a rigor di logica in casa, come usava una volta? «La mia famiglia, da decenni, non ha più beni stabili a Voghera. Arrivano talvolta care antiche memorie» dice.

Se Tondelli in Altri libertini racconta una omosessualità libera ma anche fragile, esposta all'intolleranza che sfocia nell'aggressione su un autobus, Arbasino ribalta fin da subito i cliché e sfotte gli etero costretti a infiniti corteggiamenti e si domanda se sia da considerarsi più maschile un quieto rapporto tra uomini o certe smancerie da fidanzatini pre-matrimonio. Non finiscono qui le differenze. Tondelli in Camere separate affronta il tema dei diritti civili, raccontando la storia di una coppia gay separata dalla malattia, Arbasino sembra rimpiangere gli anni in cui tutto si faceva ma senza parlarne. Azzeccatissima provocazione letteraria (come sempre) o la pensa davvero così? «Per i diritti civili, è più saggio scriverne presso un notaio» ironizza Arbasino. «Per la quotidianità, normalmente molti mangiano e poi parlano di mangiare. Altri, benché abituati a mangiare benissimo, poi non si divertono a rievocare o celebrare un sughetto o manicaretto».

Resta una curiosità, a proposito di riservatezza: Arbasino ha conosciuto personalmente Tondelli? Lo sentiva spesso? «Qualche telefonata, con ritegni reciproci, giacché ambedue appartati e schivi».

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