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Questo articolo è stato pubblicato il 23 giugno 2010 alle ore 17:55.
Ha l'aria ancora addormentata, anche se il computer sulle ginocchia è acceso. Gli occhiali appena appoggiati sul naso, pigramente. Sono le cinque di mattina quando Khalid Latif viaggia sul treno che lo sta portando da New York, dove vive, a Washington. Lì lo aspetta una comunità islamica locale. Cresciuto a Edison (New Jersey), in una famiglia musulmana medioborghese come tante di quelle immigrate negli Stati Uniti, questo giovane di piccola statura, 28 anni, inizia tutte le giornate all'alba. Con una preghiera. La fronte diretta verso la Mecca.
Khalid Latif è un imam. Vive a New York, dove dirige l'Islamic center della New York University, da lui fondato cinque anni fa. I suoi sermoni non li diffonde da un minareto, ma in podcast sul sito dell'ateneo. Nonostante l'aria da ragazzo, è stato chiamato nel 2007 dal Dipartimento di polizia proprio nella sua funzione di imam. La sua presenza in questa istituzione - dove prestano servizio anche un rabbino, un prete cattolico e uno protestante - è stata voluta dal sindaco Michael Bloomberg in una fase delicata, in cui la città ancora faticava a riprendersi dai postumi del trauma dell'11 settembre.
Il suo compito oggi è quello di forgiare una nuova identità musulmana per i fedeli di Allah che vivono in America. Il centro che lo ospita in questa occasione, a Washington, è gremito. Molti pregano in una semplice sala, una moschea improvvisata. «Ci presentiamo come musulmani, ma abbiamo una fede che non sempre funziona nel contesto in cui viviamo - spiega Latif -. All'interno delle comunità ci si interroga su come restare fedeli alle tradizioni religiose tramandate dai padri senza dimenticare che dobbiamo relazionarci con una idea di società più ampia: quella americana in cui siamo immersi». Così, spesso, ricorda l'imam di New York, «i giovani musulmani iniziano a scendere a compromessi con la loro identità, per raggiungere il livello in cui credono che gli altri americani riescano ad accettarli». Ad esempio, se sei un adolescente musulmano praticante a New York, a un certo punto ti chiedi se la tua religione ti permette di farti un tatuaggio o suonare musica rap.