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Questo articolo è stato pubblicato il 01 settembre 2010 alle ore 08:34.
Alla vigilia della 67esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, il Lido sembra stordito, quasi impreparato a ricevere questa sera Natalie Portman, reginetta di Black Swann di Darren Aronofsky, film di apertura della rassegna. Tutto sembra rivestito ancora da una patina sonnolenta di vacanza, mentre gli operai continuano a lavorare senza sosta tra gli stand. Non ci saranno lustrini e champagne (se non nelle feste private), solo un modesto rinfresco all'insegna della sobrietà in tempi di crisi.
Quest'anno l'Italia arriva in forze massicce, in concorso e non, a mostrare i tanti volti di un paese che appare contraddittorio. C'è chi, come Mario Martone, parte dalle sue origini, raccontando le correnti politiche e di pensiero, le battaglie che portarono all'Unità d'Italia del 1861. Noi credevamo (in programma il 7 settembre, in concorso), ha già nel titolo un'eco di mestizia, come chi riflette sul proprio entusiasmo e non può fare a meno di constatare sconfitta e delusione. L'opera di Martone promette di farci ripassare quella parte di storia che troppo poco spesso ricordiamo, di dare un volto a quelli che per molti di noi sono solo nomi di vie o piazze: Poerio, Pisacane, Menotti, Belgiojoso. Quel verbo all'imperfetto, Noi credevamo, suggerisce un bilancio amaro, come se raccontasse una nazione con le gambe mozze sin dalla nascita, a causa delle lotte intestine che scollano il popolo dalla classe dirigente. Martone stesso racconta di un voluto rimando all'attualità attraverso immagini che faranno riaffiorare lo spettatore dall'atmosfera dell'Ottocento per indagare l'Italia di oggi attraverso quella nata sotto Mazzini.
Una riflessione alla vigilia delle celebrazioni del 150° anniversario dell'Unità, che ci fa pensare che il bambino, anche se è nato gracile, resiste. Forse anche grazie a chi gli tasta sempre il polso, come fa Carlo Mazzacurati in La passione (4 settembre, in concorso). La pellicola racconta una storia intima, un regista esordiente a cinquant'anni, che non riesce a fare un film. Mazzacurati confessa che è la metafora di un paese fermo, insabbiato, superficiale. Come suggerisce anche La pecora nera di Ascanio Celestini (2 settembre, in concorso), che fotografa la nostra condizione di alienati da supermercato, intenti solo a comprare senza parlare a nessuno.