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Cultura-Domenica > Cinema

Affleck cita Gomorra e conquista il pubblico

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Questo articolo è stato pubblicato il 08 settembre 2010 alle ore 18:44.

Il principe dei ladri di Chuck Hogan (edito in Italia da Piemme) diventa film. Grazie a Ben Affleck, ex ragazzo prodigio- vinse l'Oscar per la sceneggiatura di Will Hunting insieme all'amico e sodale Matt Damon-, ex divo chiacchierato per le storie d'amore- la più famosa con Jennifer Lopez, l'attuale con Jennifer Garner, madre dei suoi due figli-, ex protagonista di flop clamorosi come Gigli o delusioni cocenti come Daredevil. Preso in giro per la proverbiale fissità dell'espressione e per la mascella pronunciata, estremamente amato dalle donne per la sua bellezza, da questo declino dorato si è salvato con una sterzata clamorosa, partita da una regia d'esordio davvero bella - il pochissimo apprezzato, in Italia, Gone baby gone, tratto dal racconto di Dennis Lehane - e passata per la coppa Volpi a Venezia per l'ottimo Hollywoodland.

Ora, con The Town sembra aver definitivamente scoperto cosa vuole fare da grande, mostrando, alla macchina da presa, muscoli e cervello in un notevole heist movie (il cinema da colpo grosso, meglio se in banca) solido e importante. Gli elementi classici non mancano: Ben è anche protagonista (e cosceneggiatore), si attornia di grandi professionisti sul set, tra colleghi (camei straordinari di Chris Cooper e Pete Postlethwaite, "il fioraio") e grandi direttori di fotografia, montaggio e scenografi, e dentro ci mette tutto: la realtà difficile di Charlestown, tutta disagio, droga, sfruttamento e voglia di rivalsa sociale, l'amore impossibile con una bellissima Rebecca Hall, e l'amicizia virile, soprattutto col candidato all'Oscar Jeremy Renner, qui tra i più bravi. E naturalmente una serie di colpi da manuale tra banche e portavalori, che raggiungono le vette dei grandi classici del genere.

Niente di nuovo sotto il sole, certo, ma davvero ben fatto e appassionante. Ed è naturale il dispiacere di molti nel non vedere questo The Town in concorso. "'Quando è venuto il momento di girare- rivela Affleck- ho voluto con me delle pellicole che ho amato molto e da cui ho tratto ispirazione. Tra queste, Gomorra". Potrà sembrare un'esagerazione, ma la Charlestown che racconta il giovane cineasta-attore è un quartiere di Boston che in un miglio quadrato, nato e cresciuto attorno a un carcere che ne è, da sempre, il centro di gravità, e conta la maggior densità mondiale di rapine in banca e a portavalori, nell'ordine di 300 all'anno. E lui, pur ben più patinato e narrativo, ce lo mostra, insieme alla disperazione di chi si sente perdente senz'appello. "Alcune storie non possano prescindere dal luogo dove si svolgono. Non conosco i luoghi descritti da Garrone, eppure li percepivo, e ho voluto provare a fare lo stesso con Boston, un altro personaggio del film''. Ci riesce, tenendo avvinto alla poltrona lo spettatore per due ore dense e agili, in un thriller che si fa anche viaggio nelle radici e nella loro pericolosa tendenza a soffocarti- "il luogo dove cresciamo ci plasma ed e' difficile sfuggirgli''- e costruendo un "guardie e ladri" in cui dalla parte dei buoni- si fa per dire- in divisa, c'è Jon Hamm, mattatore del capolavoro televisivo Mad Men ed eccellente antagonista.

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Dialoghi serrati e spesso divertenti, una narrazione fluida e un buon talento visivo fanno il resto, offrendo al Festival di Venezia un film compatto e ben fatto. E che nelle sale italiane arriverà, per Warner, l'8 ottobre. Tante le similitudini con il Vallanzasca di Placido: antieroi che rubano ma non amano uccidere, un atteggiamento benevolo dell'autore verso di loro, un lavoro sugli accenti (qui irlandesi, lì milanese) davvero notevole. ''Mi sono chiesto se rischiavo di santificare un "cattivo", ma ho cercato di essere preciso nel racconto, senza semplificare ne' glorificare il personaggio. Credo che il pubblico sia tanto intelligente da fare le sue scelte etiche e di capire che è giusto analizzare questi personaggi anche in quanto uomini". Un po' quello che ha fatto il fratello Casey nel deludente mockumentary su Joaquin Phoenix, I'm still here. Ma anche lì, nonostante tutto, il talento si vede: dev'essere un fatto di famiglia.

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