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C'è uno spazio pubblico per la cultura? Intanto ci sono belle storie, il piccolo catalogo è questo

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Questo articolo è stato pubblicato il 06 ottobre 2010 alle ore 19:35.

C'è un vecchietto che all'età di 97 anni gira l'Italia in maniera indefessa per raccontare la sua visione dei fatti. E' Boris Pahor, professore liceale, scrittore sloveno, ma cittadino italiano. Ha raggiunto il successo appena due anni fa con "Necropoli". Ha una sua visione della storia, che per molti è parziale, parzialissima, ma che lui, deportato come prigioniero politico nei lager nazisti durante la seconda guerra mondiale, si sente in dovere di raccontare. «Lo devo a tutta la gente che ho visto morire», spiega con aria per niente malinconica. «Per loro devo parlare», sottolinea con aria quasi impertinente.


C'è una signora ottuagenaria, Elisabetta Baldi, che ha l'agenda impegnata fino al 2011. L'ho vista farsi mangiare dalle zanzare nell'estate della bassa pianura padana per raccontare con pazienza la storia di suo marito, Antonino Caponnetto, il giudice che impiegò la vita a lottare contro la mafia. La gente si alzava sulle punte per sentire la sua testimonianza e si faceva mangiare impunemente dagli insetti. C'è un ragazzo di famiglia umilissima, che si chiama Pierluigi Cappello, che è sulla sedia a rotelle e vive in un prefabbricato per terremotati alle porte di Udine. Quest'estate ha vinto il premio Viareggio, il più importante premio italiano per la poesia, e gira indefessamente per scuole e circoli letterari per spiegare che cos'è la poesia.


Christian Raimo sulle pagine del domenicale ha invitato intellettuali, giornalisti e politici a smettere l'aria di disincanto e la gragnuola di lamentele su un paese che non fa, che non sa, che non è. Ne è nato un dibattito sulla necessità o meno di uno spazio pubblico per la cultura. Un dibattito che ha anche tratti assurdi. In realtà la cultura uno spazio pubblico ce lo ha già, in barba ai dibattiti griffati e alle più o meno profonde riflessioni su libri e giornali. C'è un mondo di associazioni di ogni genere che promuove dibattiti, invita e non provoca, dà. C'è tutto un tessuto sociale attivissimo in grado di informare gli stessi "informatori" di ciò che avviene in Italia. In barba a quella sinistra vanesia, lontana mille miglia da tutti coloro che faticano e si accontentano, abile a bearsi di quanto è intelligente. In barba a tanta destra che ormai ha imparato a dare tutte le colpe alla sinistra, qualsiasi cosa succeda, anche il terremoto. C'è un mucchio di gente che si precipita a vedere mostre, riempie i teatri, va ai festival culturali. Poco importa se gli intellettuali li sbeffeggino per il poco che capiscono.

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C'è uno spazio pubblico per la cultura ?

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Basta una suggestione a migliorare, la bellezza a rendere più facile la vita. Si dice in giro che gli italiani siano migliori dell'Italia. E forse ci ha vendicato tutti Elio Germano, quando, salendo sul palco a ritirare la palma d'oro come migliore interprete maschile all'ultimo festival di Cannes, ha detto con aria beffarda e goduta: «Dedico il premio all'Italia e agli italiani che fanno di tutto per rendere il paese migliore, nonostante la classe dirigente». E nella classe dirigente ci mettiamo dentro non solo i politici, ma anche gli intellettuali.

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