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Questo articolo è stato pubblicato il 29 ottobre 2010 alle ore 20:14.
La conferenza stampa di John Landis al Festival del cinema di Roma è… una commedia alla John Landis. Succede di tutto: la traduzione in cuffia non funziona e John pensa di essere su «Scherzi a parte», poi se la prende con la traduttrice che, secondo lui, traduce in modo surreale ; il suo cellulare squilla nel bel mezzo del discorso, lui risponde in tempo reale e dice ed è uno che ha sbagliato numero, «ma potrebbe essere la traduttrice che si sta vendicando».
Landis sta al gioco a 360 gradi, con lo stesso sense of humour demenziale e gli stessi sguardi in camera (in questo caso, verso la platea) dei suoi film. E ciò nonostante non perde l'occasione di assestare qualche sostanziosa bordata, per esempio contro Hollywood, dove «i soldi sono diventati pochi e nessuno vuole più rischiare, quindi si fanno solo remake. Oggi nessuno produrrebbe più film come «Chinatown» o «Quinto potere»: non ne avrebbero le palle». Lei fa film politici? «Ogni cosa è politica, da come ti vesti a come ti tagli i capelli».
Il seguito è un fuoco di fila di botta e risposta all'insegna del politically incorrect. Lo sa che vogliono girare un film sulla vita di John Belushi? «L'idea mi fa accapponare la pelle, non solo perché John era un amico, ma perché qualche poveraccio dovrà interpretare me». Lo sa che ogni 24 dicembre in Italia proiettano il suo Una poltrona per due? «Cos'è, vi piace avere un nero a cena per la vigilia?» Perché non gira più a Hollywood? «Perché i film che vogliono farmi fare non mi piacciono, e quelli che voglio fare io non piacciono a loro». Non si fida delle major? «Dopo Blues Brothers 2000, non ho alcuna fiducia nel cinema concepito da un consiglio di amministrazione aziendale».
Che ne pensa del 3D? «Un'attrazione da circo che, spesso, non c'entra niente con i film in cui viene usato». Quando le dicono che hanno colto messaggi particolari nei suoi film, che cosa risponde? «Se hanno creduto che mandassi un messaggio particolarmente intelligente, rispondo sempre che hanno ragione e che era tutto calcolato. Ma dentro di me penso: di che cavolo state parlando?».
La conclusione della conversazione è puro Landis. Perché continua a fare cinema, visto che è diventato tanto difficile? «Citerò la scena del «Padrino parte seconda» in cui Meyer Lansky parla con Michael Corleone e insieme fanno l'elenco di tutte le cose orribili che si sono fatti a vicenda. Alla fine Meyer sospira, rassegnato: «Ma questo è il mestiere che abbiamo scelto». Ed entrambi continuano a farlo, proprio come me».